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...Al momento in cui le tre donne di Gerusalemme, fermatesi alla soglia del sepolcro vuoto, hanno sentito il messaggio di un giovane vestito di una veste bianca: “Non abbiate paura! voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui” (Mc 16,5-6).  Quel grande Momento non ci consente di restare fuori di noi stessi; ci costringe ad entrare nella nostra propria umanità. Cristo non soltanto ci ha rivelato la vittoria della vita sulla morte, ma ci ha portato, con la sua Risurrezione, la Nuova Vita. Ci ha donato tale nuova vita... Ecco la notte della Grande Attesa. Attendiamo nella fede, attendiamo con tutto il nostro essere umano Colui, che all’alba ha spezzato la tirannia della morte e rivelato la Divina Potenza della Vita: egli è la nostra Speranza.

(Giovanni Paolo II, Omelia per la Pasqua, 1979, stralcio)

Quanto soffrì Nostro Signore


«Io sono soprattutto un chirurgo; ho insegnato a lungo. Per 13 anni sono vissuto in compagnia di cadaveri; durante la mia carriera ho studiato a fondo l'anatomia. Posso dunque scrivere senza presunzione ». «Gesù entrato in agonia nell'orto del Getsemani - scrive l'evangelista Luca - pregava più intensamente. E diede in un sudore come di gocce di sangue che cadevano fino a terra ». Il solo evangelista che riporta il fatto è un medico, Luca. E lo fa con la precisione di un clinico. Il sudar sangue, o ematoidròsi, è un fenomeno rarissimo. Si produce in condizioni eccezionali: a provocarlo ci vuole una spossatezza fisica, accompagnata da una scossa morale violenta, causata da una profonda emozione, da una grande paura. Il terrore, lo spavento, l'angoscia terribile di sentirsi carico di tutti i peccati degli uomini devono aver schiac­ciato Gesù. Questa tensione estrema produce la rottura delle finis­sime vene capillari che stanno sotto le ghiandole sudori­pare... Il sangue si mescola al sudore e si raccoglie sulla pelle; poi cola per tutto il corpo fino a terra. Conosciamo la farsa di processo imbastito dal Sine­drio ebraico, l'invio di Gesù a Pilato e il ballottaggio della vittima fra il procuratore romano ed Erode. Pilato cede e ordina la flagellazione di Gesù. I soldati spogliano Gesù e lo legano per i polsi a una colonna dell'atrio. La flagel­lazione si effettua con delle strisce di cuoio multiplo su cui sono fissate due palle di piombo o degli ossicini. Le tracce sulla Sindone di Torino sono innumerevoli; la maggior parte delle sferzate è sulle spalle, sulla schiena, sulla re­gione lombare e anche sul petto. I carnefici devono essere stati due, uno da ciascun lato, di ineguale corporatura. Colpiscono a staffilate la pelle, già alterata da milioni di microscopiche emorragie del sudor di sangue. La pelle si lacera e si spacca; il sangue zampilla. A ogni colpo il corpo di Gesù trasale in un sopras­salto di dolore. Le forze gli vengono meno: un sudor freddo gli imperla la fronte, la testa gli gira in una verti­gine di nausea, brividi gli corrono lungo la schiena. Se non fosse legato molto in alto per i polsi, crollerebbe in una pozza di sangue. Poi lo scherno dell'incoronazione. Con lunghe spine, più dure di quelle dell'acacia, gli aguzzini intrecciano una specie di casco e glielo applicano sul capo. Le spine penetrano nel cuoio capelluto e lo fanno san­guinare (i chirurghi sanno quanto sanguina il cuoio ca­pelluto). Dalla Sindone si rileva che un forte colpo di bastone dato obliquamente, lasciò sulla guancia destra di Gesù una orribile piaga contusa; il naso è deformato da una frattura dell'ala cartilaginea. Pilato, dopo aver mostrato quello straccio d'uomo alla folla inferocita, glielo consegna per la crocifissione. Caricano sulle spalle di Gesù il grosso braccio orizzon­tale della croce; pesa una cinquantina di chili. Il palo verti­cale è già piantato sul Calvario. Gesù cammina a piedi scalzi per le strade dal fondo irregolare cosparso di ciottoli. I soldati lo tirano con le corde. Il percorso, fortunatamente, non è molto lungo, circa 600 metri. Gesù a fatica mette un piede dopo l'altro; spesso cade sulle ginocchia. E sempre quella trave sulla spalla. Ma la spalla di Gesù è coperta di piaghe. Quando cade a terra la trave gli sfugge e gli scortica il dorso. Sul Calvario ha inizio la crocifissione. I carnefici spo­gliano il condannato; ma la sua tunica è incollata alle piaghe e il toglierla è semplicemente atroce. Non avete mai staccato la garza di medicazione da una larga piaga contusa? Non avete sofferto voi stessi questa prova che richiede talvolta l'anestesia generale? Potete allora rendervi conto di che si tratta. Ogni filo di stoffa aderisce al tessuto della carne viva; a levare la tunica, si lacerano le terminazioni nervose messe allo scoperto nelle piaghe. I carnefici dànno uno strappo violento. Come mai quel dolore atroce non provoca una sincope? Il sangue riprende a scorrere; Gesù viene steso sul dorso. Le sue piaghe s'incrostano di polvere e di ghiaietta. Lo distendono sul braccio orizzontale della croce. Gli aguzzini prendono le misure. Un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi e l'orribile supplizio ha inizio. Il carnefice prende un chiodo (un lungo chiodo appuntito e quadrato), lo appoggia sul polso di Gesù; con un colpo netto di martello glielo pianta e lo ribatte saldamente sul legno. Gesù deve avere spaventosamente contratto il viso. Nello stesso istante il suo pollice, con un movimento vio­lento, si è messo in opposizione nel palmo della mano: il nervo mediano è stato leso. Si può immaginare ciò che Gesù deve aver provato: un dolore lancinante, acutissimo che si è diffuso nelle sue dita, è zampillato, come una lingua di fuoco, nella spalla, gli ha folgorato il cervello il dolore più insopportabile che un uomo possa provare, quel­lo dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi. Di solito provoca una sincope e fa perdere la conoscenza. In Gesù no. Almeno il nervo fosse stato tagliato netto! Invece (lo si constata spesso sperimentalmente) il nervo è stato di­strutto solo in parte: la lesione del tronco nervoso rimane in contatto col chiodo: quando il corpo di Gesù sarà sospeso sulla croce, il nervo si tenderà fortemente come una corda di violino tesa sul ponticello. A ogni scossa, a ogni movimento, vibrerà risvegliando il dolore straziante. Un supplizio che durerà tre ore. Anche per l'altro braccio si ripetono gli stessi gesti, gli stessi dolori. Il carnefice e il suo aiutante impugnano le estremità della trave; sollevano Gesù mettendolo prima seduto e poi in piedi; quindi facendolo camminare all'indietro, lo addos­sano al palo verticale. Poi rapidamente incastrano il brac­cio orizzontale della croce sul palo verticale. Le spalle di Gesù hanno strisciato dolorosamente sul legno ruvido. Le punte taglienti della grande corona di spine hanno lacerato il cranio. La povera testa di Gesù è inclinata in avanti, poiché lo spessore del casco di spine le impedisce di riposare sul legno. Ogni volta che Gesù sol­leva la testa, riprendono le fitte acutissime. Gli inchiodano i piedi. È mezzogiorno. Gesù ha sete. Non ha bevuto nulla né mangiato dalla sera precedente. I lineamenti sono tirati, il volto è una maschera di sangue. La bocca è semiaperta e il labbro inferiore già comincia a pendere. La gola è secca e gli brucia, ma Gesù non può deglutire. Ha sete. Un soldato gli tende, sulla punta di una canna, una spugna imbevuta di una bevanda acidula in uso tra i militari. Ma questo non è che l'inizio di una tortura atroce. Uno strano fenomeno si produce nel corpo di Gesù. I muscoli delle braccia si irrigidiscono in una contrazione che va accentuandosi: i deltoidi, i bicipiti sono tesi e rilevati, le dita si incurvano. Si tratta di crampi. Alle cosce e alle gambe gli stessi mostruosi rilievi rigidi; le dita dei piedi si incurvano. Si direbbe un ferito colpito da tetano, in preda a quelle orribili crisi che non si possono dimenti­care. È ciò che i medici chiamano tetanìa, quando i crampi si generalizzano: i muscoli dell'addome si irrigidiscono in onde immobili; poi quelli intercostali, quelli del collo e quelli respiratori. Il respiro si è fatto a poco a poco più corto. L'aria entra con un sibilo ma non riesce quasi più a uscire. Gesù respira con l'apice dei polmoni. Ha sete di aria: come un asmatico in piena crisi, il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, poi trascolora nel violetto purpureo e infine nel cianotico. Gesù, colpito da asfissia, soffoca. I polmoni, gonfi d'arìa non possono più svuotarsi. La fronte è imperlata di sudore, gli occhi gli escono fuori dall'orbita. Che dolori atroci devono aver martellato il suo cranio! Ma cosa avviene? Lentamente, con uno sforzo sovru­mano, Gesù ha preso un punto di appoggio sul chiodo dei piedi. Facendosi forza, a piccoli colpi, si tira su, allegge­rendo la trazione delle braccia. I muscoli del torace si distendono. La respirazione diventa più ampia e profonda, i polmoni si svuotano e il viso riprende il pallore primitivo. Perché tutto questo sforzo? Perché Gesù vuole par­lare: « Padre, perdona loro: non sanno quello che fanno ». Dopo un istante il corpo ricomincia ad afflosciarsi e l'asfissia riprende. Sono state tramandate sette frasi di Gesù dette in croce: ogni volta che vuol parlare, Gesù dovrà sollevarsi tenendosi ritto sui chiodi dei piedi... Inimma­ginabile! Uno sciame di mosche (grosse mosche verdi e blu come se ne vedono nei mattatoi e nei carnai), ronza attorno al suo corpo; gli si accaniscono sul viso, ma egli non può scacciarle. Fortunatamente, dopo un po', il cielo si oscura, il sole si nasconde: d'un tratto la temperatura si abbassa. Fra poco saranno le tre del pomeriggio. Gesù lotta sempre; di quando in quando si risolleva per respirare. È l'asfissia periodica dell'infelice che viene strozzato e a cui si lascia riprendere fiato per soffocarlo più volte. Una tor­tura che dura tre ore. Tutti i suoi dolori, la sete, i crampi, l'asfissia, le vibra­zioni dei nervi mediani, non gli hanno strappato un lamento. (…) «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abban­donato?». Ai piedi della croce stava la madre di Gesù. Potete immaginare lo strazio di quella donna? Gesù dà un grido: « È finito ». E a gran voce dice ancora: «Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito ». E muore. 

(Dal sito www.preghiereagesùemaria.it)

Il grande avventuriero


C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moder­no: è il padre di famiglia.


C’è un so
lo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moder­no: è il padre di famiglia. Gli altri, i peggiori avventu­rieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto. Non corrono assolutamente alcun perico­lo, al suo confronto. Tutto nel mondo moderno, e so­prattutto il disprezzo, è organizzato contro lo stolto, contro l’imprudente, contro il temerario. Chi sarà tanto prode, o tanto temerario? Contro lo sregolato, contro l’audace, contro l’uomo che ha tale audacia, avere moglie e bambini, contro l’uomo che osa fondare una famiglia. Tutto è contro di lui. Tutto è sapientemente organizzato contro di lui. Tutto si rivolta e congiura contro di lui. Gli uomini, i fatti; l’accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi economiche. E infine il resto. Tutto è contro il capo famiglia, contro il padre di famiglia; e di conse­guenza contro la famiglia stessa, contro la vita di fami­glia. Solo lui è letteralmente coinvolto nel mondo, nel secolo. Solo lui è letteralmente un avventuriero, corre un’avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono coinvolti solo con la testa, che non è niente. Lui invece ci è coinvolto con tutte le sue membra. Gli altri, al maximum, si giocano solo la loro testa, il che non è niente. Lui invece mette in gioco tutte le membra. Gli altri soffrono solo per se stessi. Ipsi. Al primo grado. Lui solo soffre per altri. Alii patitur. Al secondo, al ven­tesimo grado. Fa soffrire altri, ne è responsabile. Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, e la malattia e la morte possono colpirlo in tutte le sue membra. Gli altri navigano a secco di vele. Lui solo, qualunque sia la forza del vento, è obbligato a navigare a piene vele. Tutti hanno vantaggio su di lui e lui non ha vantaggio su nes­suno. Si muove continuamente con i suoi ostaggi, in lungo e in largo tra quei terribili fortunali. Le cose che accadono, i guai, la malattia, la morte, tutto ciò che accade, tutti i guai hanno vantaggio su di lui, sempre; è sempre esposto a tutto, in pieno, di fronte, perché navi­ga su una larghezza immensa. Gli altri scantonano. So­no corsari. Sono a secco di vele… Che impor­ta agli altri di guerre e rivoluzioni, guerre civili e guer­re straniere, l’avvenire di una società, ciò che accade alla città, la decadenza di tutto un popolo. Non rischia­no mai altro che la testa. Niente, meno di niente. È coinvolto dappertutto nell’avvenire del mondo… È assalito dagli scrupoli, straziato dai rimorsi, a priori, (di sapere) in che città di domani, in quale ulteriore società, in quale dissoluzione di tutta una società, in quale miserabile città, in quale deca­denza, in quale decadenza di tutto un popolo lasceran­no, consegneranno, domani, stanno per lasciare, entro qualche anno, il giorno della morte, quei bambini di cui i padri si sentono così pienamente, così assoluta­mente responsabili, di cui sono temporalmente i pieni autori. Quindi per loro nulla è indifferente. Niente di quello che succede, niente di storico è per loro indiffe­rente. Soffrono di tutto. Soffrono dappertutto… Bisogna sottolineare attentamente che la vita di famiglia è la vita più impegnata nel secolo, la vita meno conforme, la meno simpatica, la meno affine alla regola… Solo il padre di famiglia mette in gioco, rischia, impegna infinitamente di più nella destinazione del mondo, nel secolo, nella destinazione di tutto un popolo; nel futuro di una razza. Nel destino di tutto questo popolo, nell’avvenire di questa razza impegna tutto, mette tutto, la sua carne e di più; si gioca la razza, si gioca davvero il popolo, si gioca la sua discendenza. II solo padre di famiglia, il padre di famiglia da solo. Ed è un pover’uomo. che va da sé. Che si sappia. Allora tutti ci calpestano sopra… Si crede di solito che il celibe, l’uomo senza famiglia è un uomo di fortuna(e), un avven­turiero, che vive di avventure. Invece è l’uomo di fami­glia che è un avventuriero, che vive non solo alcune avventure, ma una sola, una grande, un’immensa, una totale avventura; l’avventura più terribile, la più costan­temente tragica; la cui vita stessa è un’avventura, il tes­suto stesso della vita, la trama e l’ordito, il pane quoti­diano. Ecco l’avventuriero, il vero, il reale avventuriero.

(Charles Perguy, da Véronique)

Una macina d’asino

Oggi la tendenza maggiore è quella di un cattolicesimo fluido, moscio, che non cambia la vita a nessuno e non cambia la realtà. Ma è proprio da un cattolicesimo virile e puro, non fluido che molte cose potranno cambiare. In meglio. 

Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!” (Matteo 18, 5-7). 
Con una chiarezza incredibile e una conoscenza dell’uomo e dell’umanità superiore a quella dei migliori psicologi, psichiatri, sociologi con la barba e gli occhiali (che piacciono tanto ai cattolici), Gesù dice che è inevitabile che nel mondo avvengano scandali. Cioè non è possibile evitarli. Oggi, nel mondo buonista che ci troviamo a vivere, si pensa che basta cambiare un presidente o una legge e tutto diventa più buono. L’esperienza ci dice che non è così, non è mai stato così, ma ci ostiniamo imperterriti a pensare che è meglio un mondo buonista. Infatti—si continua a pensare contro l’evidenza più cruda—che l’uomo è buono per natura poi il sistema lo devasta e se si cambia il sistema tutto torna a essere buono e bello. Invece Gesù ci dice che non è il sistema che cambia l’uomo, ma è l’uomo che cambia il sistema. E dunque non è possibile evitare gli scandali in questo mondo, né ora, né allora, perché l’uomo ha quel difetto di fabbrica che si chiama peccato originale e che lo porta a fare quotidianamente il male se non lo controlla, lo limita, lo contiene con la propria forza di volontà e con la grazia che proviene dai Sacramenti. E guai all’uomo che fa scandalo, porta cioè al peccato le persone più deboli e le intristisce, fa perdere loro la speranza. Gesù si dimostra tutt’altro che un moderno buonista: non dice “vediamo ciò che ci unisce e non ciò che ci divide”, non dice di dialogare con quello che dà scandalo. Dice invece «sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare». Non che si devono suicidare, ma che qualcuno gli metta addosso una macina e lo butti in mare, tanto è grave agli occhi di Dio chi scandalizza. Perché peggio gli toccherà quando si presenterà davanti al tribunale di Dio. 
Non dobbiamo ammazzare nessuno ovviamente, Gesù dice “sarebbe meglio” per far capire l'importanza del messaggio ma non vuole che lo facciamo.
Oggi a molti piace tanto definirsi “gender fluid” cioè né maschio, né femmina, oppure tutti e due, o nessuno dei due generi a seconda dei momenti e tutti sono contenti perché finalmente siamo civili. (Leggete quale sia la teoria del gender che sconosciuta ai più, si va diffondendo in tutto il mondo occidentale). Gravissimo e dannosissimo è ancor più il Catholic Fluid. Infatti oggi la tendenza maggiore è quella di un cattolicesimo fluido, moscio, che non cambia la vita a nessuno e non cambia la realtà circostante. Ma proprio da un cattolicesimo virile e puro, non fluido, molte cose potranno cambiare. In meglio.

Il Pio

Letizia e tranquillità


Il cristianesimo non vuole che tu viva come una rosa dentro una serra, ma ti invita a vivere come una stella alpina: al freddo, sulla vetta, scomodo sopra una roccia, ma godendo per tutta la vita di uno spettacolo e di un panorama straordinari.


Ho potuto conoscere direttamente quanto interesse si ha gli uni verso gli altri. Qualche anno fa in ufficio mi sono sentito male e sono improvvisamente collassato. I miei colleghi hanno chiamato il pronto soccorso. E’ arrivata l’ambulanza che ha parcheggiato proprio davanti alla porta di ingresso con i lampeggianti accesi e il portellone aperto; gli infermieri sono venuti a prendermi. Proprio dietro l’ambulanza nel frattempo però, qualcuno aveva piazzato il suo furgone. E così per poter partire alla volta dell’Ospedale, senza sapere cosa mi fosse davvero successo, abbiamo dovuto aspettare che il corriere finisse la consegna, facesse firmare la ricevuta, salutasse, scendesse e spostasse il furgone. Ovviamente quello si è preso una serie di insulti. Ovviamente è stato giudicato assai male da tutti. In effetti la parola più buona che si può dire a uno così è idiota. Eppure quello ha fatto solo i fatti propri: doveva consegnare un pacco, quello doveva fare e quello ha fatto. Che male c’è? Ha fatto solo quello che doveva fare. Il resto non deve contare (quando si vive solo per se stessi). Nessuno 
probabilmente gli aveva  detto che invece ci può essere un “resto”, cioè un mondo intorno; altre persone intorno. Quello che ha fatto quel conducente è poi quello che naturalmente  facciamo tutti, in un modo o in altro, quotidianamente. Chi più chi meno: ci facciamo sempre i fatti nostri. E con questo “ideale” nel cuore impostiamo tutta la nostra vita e i rapporti umani. Siamo interessati solo al nostro benessere. E questa è la vita borghese. Il dramma del mondo di oggi è proprio il borghesismo, preso come parametro della vita. Come ideale. Un ideale però striminzito che non accende la vita e non regge alla lunga. Il borghese cerca solo la propria tranquillità e la propria sicurezza. Il cristianesimo cerca invece la letizia del cuore, che non è la tranquillità, né la comodità, né la sicurezza... Il borghesismo ci fa vivere grigiamente, senza slanci, come una rosa di serra, sempre in pianura, al caldo, protetta da tutto il resto. Il cristianesimo ti invita a vivere come una stella alpina: al freddo, fuori, sulla vetta, scomodo sopra una roccia,... ma godendo uno spettacolo e un panorama straordinari. E si vive meglio così; si vive certamente meglio lieti, piuttosto che tranquilli. Si vive meglio lieti, si vive meglio avendo l’Ideale nel proprio cuore. Un grande Ideale che può reggere tutta la vita. L’Ideale che alla fine non può che essere quello di avere sempre Gesù vicino alla propria vita e di non far passare un giorno lontani da Lui.


Il Pio

Non dobbiamo piacere a tutti.

Nel Vangelo non c’è scritto di abbassare il tiro per non far scappare i giovani, né di dialogare: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada».


C’è un modo di pensare tra numerosi cattolici secondo cui dobbiamo piacere a tutti. Dobbiamo accontentare tutti. Anche a costo—ed è qui il dramma—di “abbassare il tiro”, anche a costo di non dire quello che si deve dire. Anche a costo di dire solo quello che si sente dire in giro. Di adeguarsi al mondo, dunque. Non mi pare sia un metodo efficace, facendo due conti brutali. Ma continuiamo a dire «Se ai giovani parli di Gesù, scappano, occorre prenderli con la musica, con i simboli… ». «Se gli parli del peccato subito scappano». «Oggi non è più come allora». Poi bisogna dialogare. Sempre dialogare: «si deve vedere ciò che ci unisce e non ciò che ci divide». Ma è pericoloso far così quando ciò che ci divide è proprio Gesù e la Chiesa. L’uomo poi è sempre lo stesso dei tempi di Adamo e Eva: ha sempre bisogno della vera fede per vivere bene. E pure il Vangelo è sempre lo stesso. E nel Vangelo non c’è scritto di abbassare il tiro per non far scappare i giovani, né di dialogare. Ma c’è scritto «Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa (Matteo, 10, 32-36)».

Il Pio

"Da solo non farai nulla!"




« La fede datami dal Battesimo mi suggerisce con voce sicura: ' Da te solo non farai nulla, ma se Dio avrai per centro di ogni tua azione allora arriverai fino alla fine '. Ed appunto ciò vorrei poter fare, e prendere come massima il detto di sant'Agostino: ' Signore, il nostro cuore non è tranquillo finché non riposa in Te».

(Frassati Pier Giorgio, Lettere 1906-1925, Vita e Pensiero, Milano 1995)

Finalmente!



"Finalmente" siamo un Paese civile... Eppure ci danno la “maglia nera” in tantissime faccende. Abbiamo la corruzione più elevata, una burocrazia spaventosa, una tassazione a livello di persecuzione, politici inefficienti, strade dissestate, leggi poco chiare, criminalità elevata…  



“Finalmente” significa semplicemente “alla fine”, ma spesso ha un significato più profondo, come per spiegare l’arrivo di qualcosa lungamente atteso. E messo in una frase le dà un senso molto chiaro. Quasi di parte. Per esempio. Il 20 settembre 1870 le truppe sabaude entrano attraverso la Breccia di Porta Pia a Roma a la annettono definitivamente all’Italia. Per molti è stato un fatto doloroso, in particolare per i romani che al Papa volevano bene e non volevano assolutamente un re cispadano. Invece felicissimi erano massoni, anticlericali e nemici della Chiesa. Ma non andiamo oltre. Se sull’argomento apriamo i libri di storia in molti casi leggiamo—a commento del fatto—“finalmente Roma ritorna all’Italia”. Finalmente, che? Roma era del Papa e della Chiesa da quasi 1600 anni. Praticamente da sempre. Prima c’era stato l’Impero romano. Non c’era nessun finalmente da dire. Ma quei finalmente ci chiariscono senza ombra di dubbio, da che parte provengono gli storici che scrivono in tal modo, cosa e come pensano. Quei libri poi vengono dati in pasto ai giovani scolari delle scuole pubbliche, perché possano farsi una “propria” cultura. E veniamo a oggi. Da molti giorni assistiamo a una serie di finalmente che mette paura. Infatti l’Italia finalmente è entrata tra i Paesi civili perché ha approvato (deve ancora approvare) la legge sulle unioni civili tra gente dello stesso sesso. Finalmente. Dovremmo però domandare a chi, tronfio, si riempie la bocca pronunciano quei finalmente, il perché questo è il segno certo e inequivocabile del raggiungimento della massima civiltà per un Paese, perché nessuno ce lo ha spiegato fino a adesso. Fino a adesso ci è stato dato come un dogma, e come tale incontestabile, a pena della “scomunica civile”. Ora l’Italia è un Paese civile, dicono. Eppure ci danno la “maglia nera” in tantissime faccende. Abbiamo la corruzione più elevata, una burocrazia spaventosa, una tassazione a livello di persecuzione, politici inefficienti, strade dissestate, leggi poco chiare, criminalità elevata… Immigrazione incontrollata e ormai incontrollabile… E se ti senti male devi solo sperare di trovare un medico o un infermiere che almeno ti guardino e non ti lascino abbandonato in corridoio, col neon che lampeggia e i cartelli appiccicati al muro col cerotto. E poi c’è un popolo sempre più stanco e sfiduciato, avvilito. Nessuno lo aiuta, nessuno lo pensa (se non quando ci sono le elezioni). Nessuno lo difende. Eppure quelli ci dicono che siamo finalmente un Paese civile. Ma forse c’è qualcosa che funziona. L’unica cosa infatti che in Italia funziona sono le opere di carità, quelle che fa da solo il popolo a spese proprie. Su questo forse siamo tra i primi nel mondo. E ciò deriva da una millenaria tradizione cristiana cattolica che quelli dei finalmente odiano apertamente e se ne vergognano di averla di fronte agli altri Paesi civili. Vergogna! Speriamo che un giorno il popolo potrà dire, tirando il fiato, «finalmente!».

Idiozia.

  C’è un Potere immondo che mette tutti noi sotto una cappa tenebrosa, triste e cattiva. Ci dice come dobbiamo parlare, cosa dobbiamo deside...