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La domanda a piacere…



Lo ammetto. Talvolta mi lamento del contenuto delle omelie. Perché alcune volte mi sembrano un'insalata di moralismo e politicamente corretto, che come tale chiunque potrebbe pronunciare: il sindacalista, il Preside, il capoufficio...  Altre volte si parla di altissima teologia con declamazione di verbi aramaici, greci, latini e frasi insondabili elevatissime che chi le ascolta resta bocca aperta come incantato. Oppure ci troviamo di fronte a un linguaggio simpatichese, salti mortali e frequenti battiti di mani; ma in tutti i casi, alla fine pochissimo resta dentro al cuore. Qualche volta escono anche degli sfondoni che alle persone fragili possono creare dubbi nella fede. Spesso poi mi lamento del fatto che rarissimamente si sente parlare del demonio, dell’inferno, del peccato, della tentazione… E -scusate- ma in un momento come quello che viviamo, è come mandare degli uomini in prima linea senza le armi, senza sapere chi sia il nemico e soprattutto senza avvertirli che c’è una battaglia in corso. Ma non è tutto così e sarei ingrato a chiudere qui il discorso. Sovente dico che se sono rimasto cristiano lo devo a un sacerdote di Ascoli Piceno, nella cui chiesa andavo la mattina presto a prendere la messa. Le sue omelie mi hanno spiegato, chiarito, fatto conoscere tante cose della nostra bella fede e della nostra Chiesa che, allora trentenne, ancora non conoscevo. Quelle omelie mi hanno resa solida la base della mia fede e mi hanno dato tanto che conservo ancora oggi. Spesso infatti le omelie sono utili e apprezzabili. E grazie a loro rimane nel cuore quella frase che ogni tanto ritorna alla mente e fa capire una certa faccenda, spiega una certa realtà, consola, incoraggia…

E così accadde anni fa, alla messa delle sette della mattina, questa volta a S. Benedetto del Tronto. Poco più di una ventina di persone con un’età media molta alta: e nonostante questo anche quel sacerdote si è sentito la responsabilità di dare a tutti parole buone e edificanti. Parlava del giudizio particolare che avremo tutti alla fine della vita (anche questo è un tema ascoltato rarissimamente durante le prediche). Il Signore ci chiederà cosa Gli abbiamo fatto e se siamo stati buoni e operosi (dar da bere, dar da mangiare,… a quello più piccolo) ci porterà in Paradiso, se non lo siamo stati, cioè se non Lo abbiamo mai aiutato in tutta la nostra vita, ci manderà all’Inferno. Il sacerdote allora ci disse che non dobbiamo arrivare in quel giorno impreparati, « lo sappiamo sin da ora che quell’ ”interrogazione”, prima o poi, la dovremo sostenere tutti ». Allora spiegò che se proprio non riusciamo a argomentare bene la materia, se non abbiamo studiato molto, possiamo almeno prepararci bene su un argomento per rispondere alla “domanda a piacere”, come a scuola. Infatti quando un ragazzo non sa bene la lezione e il professore lo vuole aiutare alla fine della rovinosa interrogazione, per non bocciarlo, gli chiede una “domanda a piacere”, cioè quella cosa che conosce un po’ meglio. Almeno un sei “stiracchiato” lo possiamo prendere così. Dio ci vuole bene e non vuole la nostra rovina, non ci vuole “bocciare”, per cui se siamo preparati almeno su un argomento, possiamo sperare di essere promossi. E scopo della nostra vita, nostro interesse primario, deve essere proprio quello di essere “promossi”, cioè salvarci l’anima e andare con Lui in Paradiso. 

Le argomentazioni riportate da quel sacerdote non sono da Università di Teologia, però nel sentirle rimane nel cuore qualcosa di buono. Quel banale esempio mi tiene desto e mi fa capire che la vita non può essere sprecata dietro noi stessi, e che delle nostre azioni e del nostro tempo dovremmo rispondere a Nostro Signore quando sarà ora. Io posso anche non essere un santo clamoroso, però so che almeno sulla “domanda a piacere” mi devo preparare, cioè qualcosa di buono nella vita la devo fare per i miei fratelli e perché voglio bene a Gesù. E visto che ci sto, posso anche provare a studiare meglio la lezione...
Il Pio

Tutto senza che ci sia ansia e preoccupazione

« Chi è operativo, laborioso, provvidente, avrà tutte le necessità della vita – e chi è pigro e irresponsabile, sarà bisognoso. Secondo la sapienza umana, dobbiamo avere fiducia non nella Divina Provvidenza, ma nella nostra operatività. Il Signore nel Vangelo non dice: “non lavorate, non provvedete ai bisogni della famiglia, non procuratevi del necessario.” Sarebbe assurdo! Il Signore non dice: “vivete come gli uccelli, comportatevi come i gigli del campo.” Sarebbe poco credibile. Il messaggio del Signore, invece, è più profondo; dice: non preoccupatevi di queste cose, non affannatevi per il domani. Si tratta, quindi, di un atteggiamento interiore. Lavorate, sì, ma non con ansia, non con preoccupazione. Siate provvidi, sì, ma non siate turbati nè affannati. Mettiamocela tutta, ma con grande fiducia in Dio. Il principio fondamentale è questo: Dio ha cura di noi — e se abbiamo fede in questa bontà di Dio, saremo in grado di affrontare i bisogni di ogni giorno con un cuore sereno e tranquillo. Cercate prima il regno di Dio! Lavorate, sì. Siate prudenti, sì. Ma abbiate fiducia nella Divina Provvidenza; gettate in Dio ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi (1 Pt 5,7) ». (Stralci dall'Omelia di di Padre Cassiano Folsom, O.S.B. Monastero di San Benedetto, Norcia, Italia, 25/8/2013).

Pier Giorgio Frassati / 4 - La tabaccaia

« Avevo un piccolo negozio di tabacchi in Corso Vercelli e un giorno vidi fermarsi, proprio davanti alla vetrina, una carrozza scoperta con due giovani a cassetta. Uno di loro scese, si riempì le braccia di pacchi e pacchetti e sparì dentro ad un portone. Ritornò, prese altri pacchi e sparì nuovamente. Poi venne da me con un sacco di roba che non era riuscito a consegnare perché aveva trovato la porta chiusa e mi pregò di portarlo io stessa. Da quella volta, quando non gli riusciva di consegnare qualche pacco lo lasciava da me. Era un giovane che ispirava confidenza, così un giorno attaccai discorso: - Lei è vestito bene che pare un signore, eppure va in giro con questi sacchi...Cosa dirà la gente? Perché non li lascia a me che sono solo una tabaccaia? A me la gente non fa caso. - Vede - rispose lui - io sono contento se li trovo in casa. Preferisco consegnarli personalmente a loro, perché posso parlare con loro e infondere un po' di coraggio, farli sperare che la vita cambierà, e soprattutto convincerli ad offrire a Dio le loro sofferenze a ad andare a Messa. Gli risposi dicendo che io non avrei potuto insistere che andassero a Messa, dal momento che non ci andavo neppure io. Sarebbe stato come se il diavolo avesse invitato a farsi eremiti. Invece di sgridarmi si limitò a chiedermi: - Perché non va a Messa? Risposi senza scompormi che se il duro lavoro quotidiano nel negozio non bastava a meritarmi il paradiso, il Signore per me poteva anche chiudere bottega. Ma lui continuò: - Se non vuole andare a Messa per se stessa, vada almeno per il suo bambino, lei che è una buona mamma. Rimasi colpita e gli risposi che probabilmente aveva ragione. E la domenica dopo ero in chiesa. Io che non avevo mai sentito una parola bella e che ero rimasta orfana a tre anni, fui colpita dalla spiegazione del Vangelo. E così da sposata per la prima volta andai a Messa. Glielo dissi poi a quel giovane quando lo vidi e gli ripetei anche la spiegazione del Vangelo. Ebbi la sensazione che lui capisse benissimo come io non avessi bisogno del sacchetto, ma di un po' di parole di fede" ».
(L. Frassati, Mio Fratello Pier Giorgio - La carità - SEI)

Padre Pio e l'Angelo custode



Un italo-americano residente in California, incaricava spesso il suo Angelo Custode di riferire a Padre Pio ciò che riteneva utile fargli sapere. Un giorno, dopo la confessione, chiese al Padre se sentiva veramente quello che gli diceva tramite l'angelo. "E che" - rispose Padre Pio - "mi credi sordo?" E Padre Pio gli ripeté quello che pochi giorni prima gli aveva fatto sapere tramite il suo Angelo.

Padre Lino raccontava. Stavo pregando il mio Angelo Custode perché intervenisse presso Padre Pio a favore di una signora che stava molto male, ma mi sembrava che le cose non mutassero affatto. Padre Pio, ho pregato il mio Angelo Custode perché le raccomandasse quella signora - gli dissi appena lo vidi - è possibile che non l'abbia fatto? - "E cosa credi, che sia disobbediente come me e come te?

Una donna era seduta sul piazzale della chiesa dei cappuccini. La Chiesa era chiusa. Era tardi. La donna pregava col pensiero, e ripeteva col cuore: "Padre Pio, aiutami! Angelo mio, va a dire al Padre che mi venga in aiuto, altrimenti mia sorella muore!". Dalla finestra di sopra, sentì la voce del Padre: "Chi mi chiama a quest'ora? Che cosa c'é? La donna disse della malattia della sorella, Padre Pio si recò in bilocazione e guarì la malata.

Un tizio disse a Padre Pio: - Io non posso venire sempre da voi. Il mio stipendio non mi permette spese per viaggi così lunghi - Padre Pio rispose: "E chi ti ha detto di venire qui? Non hai il tuo Angelo Custode? Gli dici cosa vuoi, lo mandi qua, ed avrai subito la risposta".

Un dottore chiese a Padre Pio: "Tanti Angeli sono sempre vicino a lei. Non le danno fastidio?" - "No" rispose il Padre con semplicità - "sono così obbedienti".

Ad una persona disse: "Per la tua mamma pregheremo, perché l'Angelo Custode le faccia compagnia". Ma voi, Padre, sentite quello che l'Angelo vi dice? Chiese una persona. E Padre Pio: "E cosa credi, che Egli sia disubbidiente come te? Mandami l'Angelo Custode".

È inutile che mi scrivi, perché non posso rispondere. Mandami l'Angelo, sempre. Penserò a tutto.

Invoca il tuo Angelo Custode, che ti illuminerà e ti guiderà. Il Signore te lo ha messo vicino appunto per questo. Perciò serviti di lui.

(tratto da www.padrepio.catholicwebservices.com/Angelo_custode.htm)

Pier Giorgio Frassati / 3 - La bandiera

Nel settembre 1921 a Roma si tiene il Congresso nazionale della Gioventù Cattolica Italiana, nel 50° anniversario della fondazione. Sono presenti più di trentamila giovani. La messa dì domenica 4 settembre è prevista al Colosseo, dove convergono le schiere provenienti da tutta l’Italia: ogni gruppo con la sua bandiera. Ma la liberal-massonica Questura fece trovare schierate le guardie a cavallo per impedire la celebrazione e i giovani furono costretti a rifluire a Piazza S.Pietro, dove la celebrazione poté aver luogo sul sagrato, seguita poi da una udienza nei Giardini Vaticani. Quando poi dal Vaticano i giovani decisero di recarsi all’Altare della Patria al canto alternato di "Fratelli d'Italia" e "Noi vogliam Dio", la Questura decise ancora ai disperdere a forza il corteo. Ecco una testimonianza che riguarda il nostro caro Pier Giorgio Frassati

Pier Giorgio tiene alta con le due mani la bandiera tricolore del Circolo Cesare Balbo. All’improvviso sbucano dal portone di Palazzo Altieri, dove erano accantonate, circa duecento guardie regie agli ordini del più settario funzionario di polizia che io abbia mai conosciuto. Grida: "Addosso coi moschetti, togliete le bandiere!". Pare che abbiano a trattare con belve. Picchiano coi calci dei moschetti, afferrano, strappano, spezzano le nostre bandiere. Le difendiamo come possiamo con le unghie e con i morsi. Vedo Pier Giorgio alle prese con due guardie che tentano di strappargli la bandiera... Ci spingono nel cortile del Palazzo
che funziona da camera di sicurezza... Intanto a Piazza del Gesù lo spettacolo bestiale continua… Un sacerdote è buttato letteralmente nel cortile con l’abito talare strappato e una guancia insanguinata. Al nostro grido ai protesta ci sono nuovamente addosso con i calcidei moschetti... Insieme ci inginocchiammo per terra, nel cortile, quando quel prete lacero alzò il rosario e disse: «Ragazzi, per noi e per quelli che ci hanno percosso, preghiamo!». La rivista Civiltà Cattolica, in quel tempo in cui si usava chiamare le cose col loro nome, raccontando i fatti li spiegò così: "La setta, inviperita da così inattesa dimostrazione di fede, ne volle un primo ricatto". E ancora: "Il fatto, dovuto a mene torbide di setta e di partito...". E definisce le cronache distorte che allora ne diedero il Giornale d’Italia e il Resto del Carlino come opera di "certi giornalisti più abbietti e più settari".L’indomani i giovani cattolici dovevano nuovamente recarsi a S. Pietro e Pier Giorgio con i suoi riattraversò la città portando in trionfo i mozziconi di bandiera spezzata e strappata a cui aveva appeso un grande cartello con la scritta: "Tricolore sfregiato per ordine del Governo". Un fatto "progressista", come si vede. Comunque se ne parlò in tutta Italia. Racconta un amico di Pier Giorgio: Mentre si faceva un gran parlare di lui, egli si mostrava riluttante alle congratulazioni che da ogni parte gli venivano. Quelle lodi gli sembravano strane perché non poteva comprendere come un giovane cattolico in quella circostanza potesse agire in modo diverso.
(Stralci da Antonio Sicari, Ritratti di Santi, Jaca Book).

L'angelo custode


Abbiamo letto il Catechismo di San Pio X, nella parte in cui parla degli angeli. E dunque: « 46. Dio si serve degli Angeli come suo ministri? Si, Dio si serve degli Angeli come suoi ministri, e specialmente affida a molti di essi l'ufficio di nostri custodi e protettori». E poi: « 47. Dobbiamo noi avere particolare devozione verso l'Angelo nostro custode? Si, noi dobbiamo avere particolare devozione verso l'Angelo nostro custode, onorarlo, invocarne l'aiuto, seguirne le inspirazioni ed essergli riconoscenti per l'assistenza continua ch' egli ci presta ». Ho letto qualcosa sugli Angeli custodi, perché tutto potesse essere meglio calato nella nostra realtà quotidiana. Ho premesso la storia del caro Filippini che per tutta la vita non aveva mai messo la sveglia perché l’Angioletto suo lo svegliava all’ora che gli chiedeva la sera prima. Ho anche ricordato di quando stavate accompagnandolo a casa in auto e dormiva profondamente. Appena giunti sotto Loreto si svegliò di botto e iniziò la recita dell’Angelus (come faceva—da anni e anni—tutte le volte che in autostrada passava sotto la Basilica di Loreto). L’Angelo lo aveva appunto svegliato.Ho dunque letto un capitolo di Don Bosco [vedi un post precedente] che dice che Dio ha dato all’uomo unico, tra tutte le creature, un Angelo che gli resta a fianco dal primo secondo della nascita all’ultimo istante della vita. Che lo guida, lo salva, lo difende, anche dalle tentazioni. Che la Chiesa questo lo ha detto sempre. Poi abbiamo letto numerosi brevi episodi della vita di Padre Pio. Il quale spesso interagiva e parlava con gli Angeli custodi delle persone che lo contattavano e avevano bisogno di lui. “Se non puoi venire tu, mandami il tuo Angelo”. Così è nata l’occasione per dire a tutti che non solo dobbiamo pregare il nostro Angelo custode —e lo dobbiamo fare sempre— ma anche e spesso quello delle persone con cui dobbiamo parlare, quelle in pericolo, quelle ammalate, quelle in crisi… Come ci dicevamo pure noi tanti anni fa.
(Da una riunione della Compagnia dei Tipi Loschi del 13 febbraio 2015).

La santità

Don Bosco chiamò Domenico (Savio, ndr) e gli disse: «Quando tua mamma fa una torta, usa una ricetta che indica i vari ingredienti da mescolare: lo zucchero, la farina, le uova, il lievito... Anche per farsi santi ci vuole una ricetta, e io te la voglio regalare. È formata da tre ingredienti che bisogna mescolare insieme. Primo: allegria. Ciò che ti turba e ti toglie la pace non piace al Signore. Caccialo via. Secondo: i tuoi doveri di studio e di preghiera. Attenzione a scuola,impegno nello studio, pregare volentieri quando sei invitato a farlo. Terzo: far del bene agli altri. Aiuta i tuoi compagni quando ne hanno bisogno, anche se ti costa un po’ di disturbo e di fatica. La ricetta della santità è tutta qui ».
(Teresio Bosco)

Illumina le tenebre de lo core mio

Altissimo glorioso Dio,
illumina le tenebre de lo core mio.
Et dame fede diricta,
speranza certa e carità perfecta,
senno e cognoscemento,
Signore,
che faccia lo tuo santo
e verace comandamento.
Amen.
San Francesco D'Assisi (Preghiera davanti al Crocifisso) 

Come possiamo vincere le tentazioni?

Il Catechismo di S. Pio X al numero  43 chiede «come possiamo vincere le tentazioni?». Le tentazioni (faccenda realissima e quotidiana, che dobbiamo sapere e evitare) ce le manda dritte dritte il demonio, nel suo esclusivo interesse, e nonostante questo, spesso noi le assecondiamo  e gli diamo peso; ce le manda il demonio per farci allontanare da Gesù e le modalità sono di una vastità incredibile, personalizzate a seconda delle nostre debolezze e del nostro carattere. Su misura. Il brutto è che oggi nessuno ci parla più del demonio e delle sue sempre cattive tentazioni e dunque diventiamo una facilissima preda che cade, a bocca aperta, nella trappola. Al numero 42 il catechismo spiega « I demoni ci tentano per l'invidia che ci portano, la quale fa loro desiderare la nostra eterna dannazione, e per odio a Dio, la cui immagine risplende in noi. Iddio poi permette le tentazioni, affinché noi, vincendole con la Sua Grazia, esercitiamo le virtù ed acquistiamo meriti pel paradiso». Le tentazioni si vincono — si possono e si devono vincere!—con la vigilanza, con la preghiera e con la mortificazione cristiana si legge. Cos’è la vigilanza? Deriva da vigilare, stare svegli, dunque, evitare di frequentare certi posti, evitare certi argomenti e certi pensieri, evitare, insomma, di mettere il sedere dove tirano i calci... La preghiera. Io non so quanti di voi pregano regolarmente durante la giornata, ma bisogna pregare sempre, più spesso possibile. Quando si va in macchina (chiudendo magari la radio), quando si va a fare la spesa o a spasso (da casa mia ad es. al supermercato più vicino c’è il tempo per dire tutta una decina di rosario, da casa mia alla parrocchia una decina e un pater, ave e gloria, da casa al luogo del lavoro un rosario e un Angelus…). E’ bene sfruttare tutte le occasioni per pregare spesso. Regolarmente. La Compagnia dei Tipi Loschi ha la Regola della decina quotidiana, è buona cosa, ma possiamo e dobbiamo fare molto di più. Cos’è infine la mortificazione cristiana? Io ora vi dico cos’è la mortificazione civile (non cristiana). Uno ad esempio —capita— per essere più bello o stare più comodo, si sottopone all’operazione agli occhi per togliere gli occhiali: rischiando anche di divenire cieco, soffrendo un po’ e pagando. Che parola contiene mortificazione? La parola morte. Bisogna far morire qualcosa di sé per qualcosa di più grande, rinunciare a qualcosa per Gesù. Quali sono le mortificazioni? Il cilicio, il digiuno, mi dicono. Sì anche la fustigazione, ma ce ne sono tante altre più possibili e vicine a noi. Ho allora raccontato del beato Escrivà che per mortificazione, a cena prima di prendere l’acqua aspettava il più possibile, proprio per offrire questa piccola sofferenza. Poi si può rinunciare al sonno, spettacoli e pensieri cattivi, ira, parole vane, giochi, perdita di tempo, ozio, tempo per sé, pettegolezzi, giudizi… a non stravaccarsi sul divano e fare qualcosa per qualcuno. Dunque la mortificazione, la vigilanza e la preghiera ci tengono lontani dalle tentazioni. Ho raccontato che S. Antonio Abate diceva che i demoni quando ci attaccano, se ci trovano impauriti, immersi nelle cose nostre cose, ampliano le paure che già abbiamo e ci fregano. Ma se ci trovano lieti nel Signore, meditando sul nostro destino eterno, se ne vanno. Mortificazione, vigilanza e preghiera ci fanno stare sempre vicini al Signore, lieti nel Signore e dunque ci salvano (anche) dalle tentazioni.

(Sintesi di una riunione della Compagnia dei Tipi Loschi). 

Onorevolmente…

"Giuro di servire fedelmente, lealmente e onorevolmente il Sommo Pontefice e i suoi legittimi successori, come pure di dedicarmi a loro con tutte le forze, sacrificando, ove occorra, anche la vita per la loro difesa. Assumo del pari questi impegni riguardo al Sacro Collegio dei Cardinali per la durata della Sede vacante. Prometto inoltre al Capitano Comandante e agli altri miei Superiori rispetto, fedeltà e ubbidienza. Lo giuro. Che Iddio e i nostri Santi Patroni mi assistano."
(Giuramento delle reclute della Guardia Svizzera Pontificia)

Preghiera del padre l. De Grandmaison


Santa Maria, Madre di Dio,
conservami un cuore di fanciullo, puro e limpido come acqua di sorgente.
Ottienimi un cuore semplice, che non si ripieghi sulle proprie tristezze;
un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione, un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene e non serbi rancore di alcun male.
Formami un cuore dolce e umile che ami senza esigere di essere riamato, contento di scomparire in altri cuori, sacrificandosi davanti al Tuo Divin Figlio;
un cuore grande e indomabile, così che nessuna ingratitudine lo possa chiudere e nessuna indifferenza lo possa stancare: un cuore tormentato dalla Gloria di Cristo, ferito dal Suo amore, con una piaga che non si rimargini se non in cielo
.
(padre Septime Léonce Ludovic Loyzeau de Grandmaison, S.I.)

Pier Giorgio / 2

Altre testimonianze sul beato Pier Giorgio Frassati.

Di ritorno dalle più stancanti camminate in montagna, mentre i suoi amici si recavano al bar, lui prima passava in chiesa. Un giorno un amico gli disse: « Che fai Pier Giorgio, sei diventato bigotto? ». E lui, deciso: « No, sono rimasto cristiano » (L. Frassati, La Fede, op. cit. test. Mons. Alessandro Roccati, pag. 194) 

 Tornando con alcuni compagni da una passeggiata sulle sue montagne, passammo per il Santuario di Oropa. Noi tutti entrammo in un Caffè, tutti meno Pier Giorgio. Era scomparso senza dir nulla. Lo cercammo: era nella piccola Chiesa a pregare. Non ebbe parole di biasimo verso di noi, ma il suo silenzio fu più eloquente di qualunque rimprovero  » (Domenico Morelli, La Piccozza, pag 25, Ed. Sei Torino)

« Un giorno lo incontrai dentro al Santuario in completo assetto di montagna si scusò dell’equipaggiamento, dicendo che aveva fatto un’escursione con una comitiva; guardai intorno: la comitiva non c’era, ma lui sì, per quanto affaticato e non bene in arnese, non aveva saputo reggere al desiderio di vedere la Madonna » (Teol. Francesco Ottino, La Piccozza, op cit.).

Se guadagnate, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla

...Dio c’è o non c’è: ma da quale parte propenderemo? ... Testa o croce? Su che punterete? Seguendo la ragione non potete puntare né sull’una né sull’altra; seguendo la ragione non potere escludere nessuna delle due...
Ma è necessario scommettere. Non siete liberi di farlo o non farlo, ci siete costretti. Testa o croce, cosa prenderete?... Soppesiamo guadagni e perdite scegliendo croce: Dio esiste. Valutiamo questi due casi: se guadagnate, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla; scommettete quindi che esiste, senza esitare... Non c’è partita, bisogna dar tutto... Il rischio di guadagno e di perdita è uguale...  Qualsiasi giocatore rischia con certezza per guadagnare senza certezza, e così non pecca contro la ragione se rischia con certezza il finito per guadagnare senza certezza l’infinito... Ne segue che, dove i rischi siano uguali da una parte e dall’altra, nel gioco la posta è uguale contro uguale...
La vostra incapacità di credere deriva dalle vostre passioni, perché la ragione è favorevole e tuttavia voi non ci riuscite. Lavorate dunque non a convincervi attraverso l’aumento delle prove di Dio, ma attraverso la diminuzione delle vostre passioni. Volete andare verso la fede e non ne conoscete il cammino? Volete guarire dall’incredulità senza e chiedete qual è la medicina? Imparate da coloro che sono stati legati come voi e che ora scommettono tutto il loro bene. Sono persone che conoscono il cammino che vorreste seguire, guarite da un male da cui vorreste guarire; seguite il metodo con cui hanno cominciato. Cioè facendo tutto come se si credesse, prendendo l’acqua benedetta, facendo dire delle messe, ecc. Con naturalezza, questo vi porterà a credere, d’istinto... Sappiate che (questo discorso) viene da un uomo che si è messo in ginocchio prima e dopo, per pregare questo essere infinito e indivisibile, al quale sottomette tutto se stesso, (perchè) voi facciate altrettanto per il vostro proprio bene e per la sua gloria, e così la forza si accordi con questa bassezza...
E’ il cuore che sente Dio e non la ragione. Ecco cos’è la fede. Dio sensibile al cuore, non alla ragione.
Il cuore ha sue ragioni che la ragione non conosce affatto: lo si sa da mille cose...
Non c’è che la religione cristiana che rende l’uomo amabile e insieme felice; vivendo in modo da essere rispettabili, non si può essere amabili e felici.
(Blaise Pasal, stralci da “La scommessa”)


Legittima difesa

Spesso il cattolicesimo è visto —da parte dei cattolici stessi— come una specie  movimento pacifista buonista ecologista arcobaleno a tutto tondo e a tutti i costi. Se si parla di armi, di battaglia, di guerra… subito parte lo sdegno e lo scandalo. Il dialogo è l’unica via, dicono in tanti, dimenticando però che in un dialogo, normalmente, entrambe le parti dovrebbero aver interesse a parlare; ma se una parla col sorriso preimpostato e le braghe calate e l’altra vuole solo tagliare la gola, la via del dialogo è molto difficile da seguire e forse, se non davvero pericolosa, del tutto inutile. Dunque contro chi ci vuole uccidere e conquistare, se il dialogo non basta, occorre agire in altro modo.  E senza scandalizzarsi. I Cristeros messicani ad esempio dopo avere percorso tutte le strade “buone”, hanno dovuto reagire armi in pugno contro un governo anticlericale che voleva cancellare con la violenza la fede cattolica da quella terra. Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla chiaramente della legittima difesa. A proposito esso insegna: « 2264 L'amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale (…); 2265 La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell'autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità ».  
Il Pio

Preghiera di ringraziamento.

« Ti rendiamo grazie, o Cristo, nostro Dio; nella tua bontà ci hai dato il tuo corpo in questo Sacramento, per permetterci di vivere santamente. Custodisci tutti noi puri e senza macchia; rimani in noi per proteggerci. Dirigi i nostri passi sulla strada della tua volontà santa e benevola. Agguerrisci le nostre anime contro le seduzioni di satana, affinché ascoltiamo solo la tua voce, seguiamo te solo, pastore onnipotente e verace, e conseguiamo il posto preparato nel Regno dei cieli. Nostro Dio e Signore, redentore Gesù Cristo, tu sei benedetto con il Padre e lo Spirito, ora e per tutti i secoli. Amen ».

(Una bella preghiera che si può recitare dopo la comunione per ringraziare Nostro Signore)


Questa è perfetta letizia

Come andando per cammino santo Francesco e frate Leone, gli spuose quelle cose che sono perfetta letizia.

Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angioli con frate Lione a tempo di verno, e 'l freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Lione il quale andava innanzi, e disse così: “Frate Lione, avvegnadioché li frati Minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e di buona edificazione nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è quivi perfetta letizia”. E andando più oltre santo Francesco, il chiamò la seconda volta: “O frate Lione, benché il frate Minore allumini li ciechi e distenda gli attratti, iscacci le dimonia, renda l'udir alli sordi e l'andare alli zoppi, il parlare alli mutoli e, ch'è maggior cosa, risusciti li morti di quattro dì; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. E andando un poco, santo Francesco grida forte: “O frate Lione, se 'l frate Minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le scritture, sì che sapesse profetare e rivelare, non solamente le cose future, ma eziandio li segreti delle coscienze e delli uomini; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. Andando un poco più oltre, santo Francesco chiamava ancora forte: “O frate Lione, pecorella di Dio, benché il frate Minore parli con lingua  d'Agnolo, e sappia i corsi delle istelle e le virtù delle erbe, e fussongli rivelati tutti li tesori della terra, e conoscesse le virtù degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e delle pietre e delle acque; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. E andando ancora un pezzo, santo Francesco chiamò forte: “O frate Lione, benché 'l frate Minore sapesse sì bene predicare che convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo; iscrivi che non è ivi perfetta letizia”. E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Lione, con grande ammirazione il domandò e disse: “Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia”. E santo Francesco sì gli rispuose: “Quando noi saremo a santa Maria degli Agnoli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo, e 'l portinaio verrà adirato e dirà: Chi siete voi? e noi diremo: Noi siamo due de' vostri frati; e colui dirà: Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi ch'andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri; andate via; e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e colla fame infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza mormorare di lui, e penseremo umilmente che quello portinaio veramente ci conosca, che Iddio il fa parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi che qui è perfetta letizia. E se anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, ché qui non mangerete voi, né albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore; o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure dentro, e quelli più scandolezzato dirà: Costoro sono gaglioffi importuni, io li pagherò bene come son degni; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e  involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l'Apostolo: Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui perché te ne glorii come se tu l'avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e dell'afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l'Apostolo: Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo”. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
(dai Fioretti di San Francesco di Assisi, capitolo ottavo).

Sant’Atanasio – da solo per quarant'anni a difendere la Chiesa.


«Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei tempi nuovi. Dovreste parlare della Grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l’uomo e l’umanità. Portare il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo». E’ quanto diceva sant’Atanasio a chi voleva accettare un compromesso nella dottrina cattolica. Siamo intorno al 360 anche se quella frase sembra precisa anche per il nostro periodo. L’epoca in cui visse sant’Atanasio fu di grande crisi della ortodossia, cioè della Dottrina autentica. In quel periodo  la Verità cattolica rischiava di scomparire. In tale contesto, sant’Atanasio non si piegò. Per quasi mezzo secolo rimase solo a difendere la purezza della Dottrina e della Fede autentica in Gesù Cristo. Fu vescovo per ben 46 anni: 46 anni di lotta contro l’eresia ariana e contro gli ariani. Nel Concilio di Nicea fu solennemente proclamata la Fede nella Divinità di Cristo in quanto consustanziale al Padre. Fu lì che fu stabilita la definizione per intendere l’uguaglianza del Figlio con il Padre: homoousius, che vuol dire “della stessa sostanza” cosa che gli Ariani rifiutavano recisamente. Il comportamento degli ariani di quel tempo è indicativo per capire quanto le vicende che toccarono a sant’Atanasio siano straordinariamente attuali. Sant’Ilario di Poitiers (315-367) racconta che gli ariani ebbero sempre la scaltrezza di rifiutare ogni scontro dogmatico in merito alla questione della natura di Gesù perché sapevano che le loro tesi non potevano essere fondate sulla Tradizione né sul Magistero definito. Si limitavano a fare ciò che solitamente fa chi non sa controbattere in una discussione: invece di rispondere sugli argomenti, calunnia. La discussione dottrinale veniva spesso trasformata in conflitto su questioni personali. Il povero sant’Atanasio fu accusato delle più grandi nefandezze: di aver imbrogliato, di aver violentato una donna, di aver ucciso, di minare all’unicità della Chiesa. Una tecnica che non passa mai di moda. D’altronde il demonio è sempre lo stesso e ha sempre la stessa monotona fantasia. Essi operarono anche con grande astuzia. Occuparono quante più sedi episcopali e poi lanciarono quello che successivamente è stato definito come semiarianesimo. Essi diffusero la necessità di sostituire il termine “homoousion”, con il termine “homoiousion”. Una sola lettera di differenza, ma cambiava tutto. Infatti homoousion significa “della stessa sostanza”, homoiousion significa “simile in essenza”. Traducendo si capisce quanto la differenza non sia di poco conto. Tuttavia molti vescovi si lasciarono convincere da questo compromesso terminologico, che era un puro e grave cedimento sulla Dottrina, sant’Atanasio tenne fermo, resistette come un leone. Subì l’esilio per almeno cinque volte, ma non cedette. Molto tempo il nuovo papa Damaso capì che sant’Atanasio aveva ragione e lo riabilitò. Sant’Atanasio morì il 2 maggio del 373. A difendere la Fede —in quel periodo— ci fu solo lui e una piccola comunità. E solo loro seppero mantenere accesa la luce della fede. E’ pure significativo che colui che combatté da solo contro l’eresia ariana, non fu mai un teologo. Ario, invece, raccoglieva grande consenso per la sua grande preparazione biblica e teologica. Era insomma come tanti teologi che oggi vanno per la maggiore nei dibattiti, nelle prime pagine dei quotidiani e nei talk-show televisivi. Atanasio però sapeva quanto qui stesse l’insidia del demonio. Nella sua celebre Vita di Antonio egli riporta un insegnamento del suo grande maestro: « [...] i demoni sono astuti e pronti a ricorrere ad ogni inganno e ad assumere altre sembianze. Spesso fingono di cantare i salmi senza farsi vedere e citano le parole della Scrittura. [...]. A volte assumono sembianze di monaci, fingono di parlare come uomini di fede per trarci in inganno mediante un aspetto simile al nostro e poi trascinano dove vogliono le vittime dei loro inganni ».
La vita di Sant'Atanasio ci possa dare a tutti quel coraggio, quel fervore e quella passione per Gesù e per la Sua Chiesa di cui oggi ha proprio bisogno il mondo. 

(Stralci presi dal testo di Corrado Gnerre, http://www.santiebeati.it/).

Che bene c'e

La tragedia del nostro tempo è che non c’è più educazione.

Siamo la prima generazione di adulti che vive in modo così drammatico il problema della tradizione, cioè della consegna da una generazione all’altra di un patrimonio di conoscenze, di valori, di certezze, di positività, di un’idea buona della vita.

L’educazione c’è se in primo luogo c’è un adulto.

Una certa cultura ha distrutto l’idea di Dio, di una paternità grande.
Se ci fosse un’educazione del popolo tutti starebbero meglio.
Hanno bisogno di adulti che animo la loro libertà.
Due errori: chiudere la casa per non farli uscire, oppure uscire con loro.

Non abbiate mai paura di sbagliare: per i nostri figli siamo i migliori genitori possibili… I nostri figli ci perdonano la nostra debolezza; non ci perdonano la mancanza di coraggio, la mancanza di responsabilità di fronte al reale.

“Che male c’è?” Nasconde la resa dell’educatore. … “Che bene c’è!” deve essere detto.
Educazione introduzione alla realtà.

L’educazione è una testimonianza.
Il problema dell’educazione sono gli adulti non i ragazzi.

Prima ha diritto a ricevere un’ipotesi, una possibilità di certezza, altrimenti viene su storto, viene su malato.
Ipotesi esplicativa della realtà: la presenza di un adulto capace di comunicare il senso delle cose.

Il bambino ci guarda. Ha bisogno di ricevere da noi un’ipotesi della realtà, un’ipotesi sulla realtà, un modo di stare al mondo, che noi lo vogliamo o no, che ne siamo consapevoli o no.

Bisogna insistere nel farlo felice… bisogna insistere non nel chiedere questo e quello, non nelle regole… ma nella testimonianza di un bene grande, “figlio mio fai quello che ti dico perché io e la mamma facciamo queste cose per essere felici come appunto siamo oggi”.

Due genitori dovrebbero avere la preoccupazione di essere una proposta vivente di fronte ai propri figli, di avere una domanda su di sé: “allora io cosa sto vivendo?”. Qualunquismo, soprassedere a questa domanda. Il qualunquismo produce uno scetticismo ancora più tenace a strapparsi.

(Spunti tratti dal libro di Franco Nembrini “Di padre in figlio”, ed Ares)

Alle solite condizioni


Il primo agosto abbiamo avuto la possibilità di lucrare l'indulgenza plenaria (il perdono di Assisi). San Giovanni Bosco —ad esempio— consigliava spesso ai suoi ragazzi di prendere più indulgenze possibili. Ogni tanto infatti la Chiesa le concede e è assai prudente approfittarne. L’indulgenza plenaria infatti è una faccenda straordinaria. E’ noto che la confessione rimette le colpe, ma la pena che meritiamo per ogni peccato che abbiamo commesso la dobbiamo scontare o in terra o in Purgatorio, per purificarci prima di entrare in Paradiso. L’Indulgenza plenaria rimette tutte le pene che meritiamo fino a quel momento, e questo grazie al tesoro di santità di cui la Chiesa dispone. Ovviamente chi vi partecipa deve avere un cuore che odia il peccato. Quasi per scherzare (ma non troppo) ci diciamo che se uno dovesse morire subito dopo aver beneficiato di questa indulgenza, andrebbe immediatamente in Paradiso. Quindi essa non va presa sottogamba, è una faccenda straordinariamente seria. Il mio dispiacere è invece vedere come spesso l’avviso che ricorre un’indulgenza simile, venga dato -se viene dato- come tutti gli altri avvisi, anzi quasi con fastidio. “Oggi possiamo prendere il perdono di Assisi; stasera alle 15.30 al teatrino parrocchiale recita dei …. Venite numerosi, mi raccomando… non mancate perché…”. Ecco. Tanti anni fa mi è capitato durante una messa di ascoltare l’avviso che era possibile lucrare “l’indulgenza plenaria alle solite condizioni”. Non sapendo bene tutta la questione, avendo una forma mentis un po’ fiscale, ho chiesto dopo a quel sacerdote quali fossero le “solite condizioni” di cui aveva detto. Scocciato da una domanda tanto futile, quello mi rispose che le “solite condizioni” erano le “solite condizioni”, mi girò le spalle e se ne andò. Ho ringraziato e me ne sono andato con alcune domande nella mente che però sono facilmente intuibili. Domande che mi tornano alla mente quando ascolto con quanta superficialità spesso viene ricordata la possibilità di lucrare un tesoro del genere. Spessissimo senza nemmeno ricordare al popolo (che è ormai praticamente ignorante su questi argomenti), cosa effettivamente significhi.
Il Pio

Pier Giorgio


Un po' delle tantissime testimonianze che alcuni contemporanei dissero sul beato Pier Giorgio Frassati.

« Gli domandavo per esempio come si facesse ad entrare lietamente in certe case dove  la prima accoglienza era un tanfo nauseante. “Come fai tua vincere la repulsione?” Egli mi rispondeva: “In sostanza non dimenticare mai che anche se la casa è sordida tu ti avvicini a Cristo. Ricordati bene quello che ha detto il Signore: “Il bene che si fa ai poveri è bene fatto a me stesso” ».

« A un poveretto che domandava l’elemosina domandò perché non lavorava. Rispose che non aveva più strumenti per cuocere e vendere castagne. Pier Giorgio gli comperò tutto e diede a quel povero il modo di poter lavorare ».

« Non posso dimenticare la volta che lo vidi tornare senza scarpe, calzando un paio di pantofole come quelle che indosso ora a 87 anni, solo perché aveva date le scarpe ad un povero ».

« Insieme ci recavamo a visitare i lebbrosi, all'ospedale di San Lazzaro. Un giorno trovammo un giovane di vent'anni col viso deturpato dalla lebbra. Pier Giorgio rimase colpito a vedere il povero giovane dal fisico esuberante già totalmente sconfitto dal male. “Vede” mi disse “che enorme valore ha l’essere in salute come siamo noi”. E dopo un poco: “Ma anche le deformazioni di quel giovane scompariranno quando tra qualche anno raggiungerà il Paradiso. Perciò la nostra salute deve essere messa al servizio di chi non ne ha, chè altrimenti si tradirebbe il dono stesso di Dio e la sua benevolenza” ».

« Dinamico, sveglio, con la sua intelligenza pronta, sicuro e leale, sapeva dare esempio a tutti noi di quello che poteva essere il vero senso religioso... Ricordo che una sera, passando davanti alla chiesa della SS. Trinità in Via Garibaldi, dopo il suo consueto segno di croce gli feci osservare che queste sue manifestazioni di fede potevano un giorno o l'altro essere causa di guai, imperando allora un regime totalitario che aveva in dispregio ogni credo che non fosse di marca fascista. ' Quando Dio è con noi non si deve avere paura di nulla ', mi rispose. E allora i tempi erano ben diversi da quelli di oggi. Essere considerati religiosi o peggio cattolici, richiedeva coraggio ».

« Nella biblioteca della facoltà di Matematica arrivava sempre trafelato e accaldato; non appena cominciava a tirare il fiato, gli uscivano dalle tasche, dalle cartelle, uno dietro l'altro i foglietti zeppi di nomi e di indirizzi di persone povere da aiutare o da visitare ».

« I poveri vecchi delle nostre soffitte dicevano che era l'umiltà in persona. come un parente o un amico si vedeva nelle loro povere stanzette e diceva "che pace trovo in queste camere" ». 

(Tratto da Luciana Frassati, Mio Fratello Pier Giorgio La Carità, SEI)

Per quali vie e per quale scopo



« Solo i codardi chiedono al mattino della battaglia il calcolo delle probabilità; i forti e i costanti non sogliono chiedere quanto fortemente, né quanto a lungo, ma come e dove abbiano a combattere. Non hanno bisogno se non di sapere per quali vie e per quale scopo: e sperano dopo, e si adoperano e combattono e soffrono così, fino alla fine della giornata, lasciando a Dio gli adempimenti ».

(Cesare Balbo) 

Et, et, cioè libertà e regola.




La religione cattolica è la religione dell’ « et…, et… » (e, e, entrambi) e non dell’ « aut…, aut… » (o, o, cioè o solo l’uno o solo l’altro). E dunque, ad esempio, anima e corpo, non dunque tutta solo per l’anima o tutta solo per il corpo. Entrambi, ha a cuore l’una e l’altro. E poi Uno e Trino, Gesù vero Dio e vero uomo, spirito e materia, fede e ragione, fasto liturgico e povertà personale, santi e peccatori, Paradiso e inferno... E pure libertà e regola. Entrambi, non o l’uno o l’atro. Libertà oggi è una parola il cui significato comune si avvicina più ad anarchia o al « faccio come mi pare », ma in questo senso essa non si può definire. Anarchia infatti, non è libertà.
Se pensiamo a cosa il cattolicesimo ci insegna, vediamo che all’origine Dio crea gli Angeli liberi, dando a questa libertà un limite. Numero 36 del Catechismo di San Pio X: « Dio ha creato gli Angeli per essere da essi onorato e servito e per renderli eternamente felici », dunque la loro libertà aveva una regola quella di onorare e servire Dio liberamente e così essere eternamente felici; numero 59 « I demoni sono angeli ribellatisi a Dio per superbia e precipitati nell'inferno, i quali, per odio contro Dio, tentano l'uomo al male ». Creati liberi, amministrarono male la loro libertà, non vollero seguire quelle regole liberamente, usarono sopra tutto la superbia e così furono condannati per sempre. L’uomo pure fu creato libero: numero 64 « L'uomo è libero, in quanto che può fare una cosa e non farla, o farne una piuttosto che un'altra, come sentiamo bene in noi stessi »; numero 65 « L'uomo può, ossia è capace di fare anche il male; ma non lo deve fare, appunto perchè è male; la libertà deve usarsi solo per il bene ». Nel Paradiso terrestre Dio dice ad Adamo ed Eva che possono fare tutto, tranne prendere il frutto di un albero determinato: sono dunque liberi, ma con un solo limite. Dunque Dio concepisce la libertà regolata. Libertà e regola. Et, et. Liberamente. Se la libertà è così utilizzata, la strada non si perde e si vive contenti.
La nostra libertà allora deve essere regolata, perché non cadiamo nella superbia e nell’arbitrio, uscendo di strada. Ciò significa che le regole che la Chiesa ci dà sono determinanti per non mal gestire il dono della libertà. Un dono che le altre creature non hanno, regolate come sono dall’istinto. Un dono che per noi invece è tremendo, perché non è sempre facile da gestire, perché dobbiamo usare tutta la nostra prudenza, l’intelligenza, l’esperienza, il consiglio degli altri, il senno, l’attenzione, la fede…, altrimenti, come pure all’Apprendista stregone, ci può sfuggire di mano e fare danni a noi e a altri. Adamo e Eva abusarono della libertà e i danni li stiamo pagando anche noi. Numero 70 « II peccato di Adamo fu un peccato grave di superbia e di disubbidienza ».


La regola non limita la nostra libertà, ma la perfeziona. Numero 4 « La dottrina cristiana è la dottrina che Gesù Cristo nostro Signore ci ha insegnato per mostrarci la strada della salute ». « Per qual fine Dio ci ha creato?
Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell'altra in paradiso ».

Il Pio

Quali sono gli strumenti delle opere buone






« Niente anteporre all’amore di Cristo;

non compiere quanto è suggerito dall’ira;

non abbandonare mai la carità;

a quelli che dicono male di noi non ricambiare l’offesa, ma piuttosto dire bene;

riporre la propria speranza in Dio;

non essere pigro;

non mormoratore;

se uno scorge in sé qualcosa di buono, lo riferisca a Dio non a se stesso;

temere il giorno del giudizio;

avere in orrore l’inferno;

la vita eterna desiderarla con ardente brama spirituale;

la morte averla ogni giorno in sospetto davanti agli occhi;

vigilare ogni momento gli atti della propria vita;

tenere per certo d’essere veduto da Dio in ogni luogo;

i cattivi pensieri che si affacciano alla mente, subito spezzarli sui Cristo e manifestarli al padre spirituale;

non amare di parlare troppo;

attendere spesso all’orazione;

non appagare le voglie della carne;

non odiare alcuno;

e della misericordia di Dio non disperare giammai ».

(Alcuni stralci da “La Regola di S. Benedetto” (da Norcia), Capo IV, ed. Montecassino 2010, pag. 36 e segg.)

Il cuore e il desiderio

Quando vedo l’Icaro di Matisse mi vengono in mente alcune cose. L’opera è stata disegnata da Matisse quasi al termine delle vita, probabilmente nel punto massimo della sua creatività. L’immagine —che invece sembra disegnata da un bambino— è quella di Icaro che cade in mare. Nella mitologia greca Icaro era il figlio di Dedalo. Nell'isola di Creta il re Minosse aveva chiesto a Dedalo di costruire il labirinto per il Minotauro. Avendolo costruito, e quindi conoscendone la struttura, a Dedalo e suo figlio fu preclusa ogni via di fuga da Creta da parte di Minosse, poiché temeva che ne fossero svelati i segreti e, padre e figlio, vennero rinchiusi nel labirinto. Per scappare, Dedalo costruì delle ali con delle penne e le attaccò ai loro corpi con la cera. Malgrado gli avvertimenti del padre di non volare troppo alto, Icaro si fece prendere dall'ebbrezza del volo e si avvicinò troppo al sole; il calore fuse la cera, facendolo cadere nel mare dove morì. E questa immagine “fotografa” appunto, la sua caduta. L’uomo che cade non ha volto, non ha elementi identificativi. E un uomo in generale, un uomo. L’unico elemento che lo contraddistingue è solo quel puntino rosso. Il suo cuore, come un fuoco nella notte nera. Il cuore dell’uomo, creatura di Dio, creatura sublime, tra tutte le altre preferita, è ciò che lo fa essere tale. Che gli fa desiderare l’Assoluto, il Bello, il Giusto, il Buono, la Libertà. Quello che distingue l’uomo da tutto il resto del Creato è quel punto rosso, il cuore. E grazie a questo cuore che l’uomo inventa cose, realizza opere, cerca di scoprire i misteri, desidera l’eternità…  è quel cuore che spinge Icaro verso l’alto, a vedere da vicino il sole, a superare i suoi limiti. Agli animali Dio ha regalato l’istinto con il quale potessero sopravvivere. A noi un cuore così, perché il nostro fine non è solo quello di sopravvivere, ma di vivere da figli di Dio, di amare Dio e stare con Lui in eterno alla fine della vita. Ma quel cuore così grande, regalato con tutto il resto solo a noi uomini dal Padreterno, è dentro un corpo limitato. Un corpo che ti fa cadere verso la terra che ti spinge verso il basso. Noi tutti abbiamo quel cuore, ma in un corpo limitato e pieno di difetti. Per un po’ dobbiamo imparare a vivere con un cuore così grande che però coabita con il nostro limite, col peccato originale, ma poi sarà un’altra faccenda. Pensate che desiderio deriva dal latino « mancanza » (de) « di stelle » (sidera), cioè avvertire la mancanza delle stelle, appetire qualcosa che manca. E il nostro cuore è il piccolo segno dell’eternità che Dio ci ha dato, che ci ha voluto far pregustare; d’altra parte siamo stati fatti a Sua immagine e somiglianza. 
Il Pio

La Torre di Babele, il razzismo rovesciato e l’autorazzismo

Una cosa però va detta. Oggi bisogna stare molto attenti a cosa si pensa e a cosa si dice. Qualcuno ha sentito infatti la necessità di coniare urgentemente due parole, mai servite prima d’ora, dai tempi della Torre di Babele a oggi: “omofobia” e “islamofobia”. In Nazioni a noi vicine è già un reato rientrare in quelle definizioni, anche solo marginalmente: si va in carcere e si viene marchiati come pessimi sui giornali. In Italia stiamo molto vicino a arrivare a questo. Chiunque però capisce che è assai pericoloso questo atteggiamento da parte dello Stato e il rischio di gravi ingiustizie è molto molto vicino, perché parliamo spesso solo di pensieri e opinioni (e in democrazia, in teoria, i pensieri e le opinioni personali, se non comportano diffamazione o ingiurie, non si dovrebbero punire, altro sarebbe invece se fossimo in una dittatura ...). Comunque io ho famiglia e passo ponte. Però una cosa va detta. Perché questo tema si collega a altri due: razzismo rovesciato e autorazzismo. Un conto è infatti il razzismo in una delle sue tante espressioni, come quelle dell’omofobia e dell’islamofobia: quando esso determina brutti episodi delinquenziali, è una pessima faccenda e è giusto sanzionarlo. Il razzismo e la fobia verso qualcuno, vanno però sempre visti da entrambi le parti, non da una parte sola.  Il razzismo rovesciato è infatti sempre razzismo. E’ infatti razzismo tanto il bianco che picchia il nero, quanto il nero che picchia il bianco, se i motivi sono gli stessi. Ugualmente per la fobia. Questo sembra giusto in teoria, ma non lo è affatto in pratica. Siamo invece tutti impostati a pensare che se il bianco picchia il nero è sbagliato; se, per lo stesso motivo, il nero picchia il bianco, è giusto. E’ giustizia questa? E’ buon senso? No. Però si fa.

Facciamo allora esempi. E’ omofobia denigrare, infamare, discriminare, picchiare gli omosessuali per cattiveria, razzismo, “fascismo”,… episodi tutti giustamente da punire. Ma come vanno definiti allora, quegli altri episodi  in cui persone appartenenti a associazioni di omosessuali assaltano con insulti e percosse manifestazioni pacifiche e autorizzate di cittadini che fermi e in silenzio, vogliono semplicemente far sapere di essere contrari a leggi per loro antidemocratiche e incostituzionali, ancorchè  a favore dei primi? Perché i primi episodi hanno ampissimo risalto e grande disdegno sociale, mentre i secondi passano pressoché sotto silenzio, ove non vengano addirittura considerati giusti? Succede anche, spessissimo ultimamente, che negli asili, scuole medie e superiori, vengano distribuiti (dunque, in gran parte, a minorenni e spesso senza il permesso o la conoscenza dei genitori) volumetti da leggere che sono tutti volutamente predisposti alla diffusione (e applicazione) di massa del pensiero e della teoria gender. (Dunque, una particolare visione del mondo, un’opinione di alcuni, ma non di tutti, infatti in un mondo in cui non esiste la Verità, questa che si propone dovrebbe essere solo una verità delle tante, ma tutte  da rispettare). E’ successo invece che un’insegnante cattolica abbia provato a esprimere a scuola, durante una lezione, a domanda, una propria personalissima opinione sul tema dell’omosessualità, facendo notare che era la sua opinione. Il primo episodio (diffondere un’opinione a scuola) è quasi sconosciuto e comunque va bene. Il secondo episodio (dire la propria opinione a scuola) è invece stato stigmatizzato come fatto gravissimo, è finito (addirittura!) sui TG e quotidiani nazionali, da loro considerato una “notizia shock” e così l’hanno saputo tutti, compreso il nome, cognome e la residenza dell’insegnante.  

Parliamo ora di autorazzismo. Cioè essere razzisti della propria cultura e della propria identità. Essere razzisti di se stessi è peggio del razzismo rovesciato, perché significa che un popolo corre verso il suicidio. La stampa ha recentemente riportato due vicende. Una bambina cristiana di 12 anni è stata picchiata da un senegalese islamico perché aveva una croce al collo. Un gruppo di giovani islamici hanno lanciato insulti a una processione cristiana. (Entrambi sono avvenuti in Italia). Forse non è andata proprio così, dicono, ma io vi devo dire altro. Nell’immediatezza dei due episodi gli Intelligenti  e dunque quelli che ci insegnano a pensare dritto, in entrambi i casi, si sono precipitati, senza nemmeno approfondire e conoscere i fatti, a trovare mille scuse a favore degli stranieri: “non sapevano la lingua”, “erano in Italia da poco”, “la ragazza trattava il ragazzo alla pari”, “avevano sentito quelle frasi in altri contesti”, “il fatto non è avvenuto proprio come raccontato dalle vittime”, fino a addirittura a “la croce della ragazza era ostentata provocatoriamente”. Insomma chi pensa giusto per tutti dice che la colpa era della dodicenne e della processione: la prima non si doveva mettere la croce e doveva abbassare lo sguardo, l’altra non doveva proprio passare davanti agli islamici (anche se il percorso era così da secoli). Ma ora ho paura a porre la domanda “e se avveniva il contrario?”. L’autorazzismo, appunto.

Siamo dunque come ai tempi della Torre di Babele. Solo che oggi a parole ci capiamo benissimo. Non ci capiamo invece sul senso e significato di tutto. Sul senso della giustizia. Sul senso della vita. Sul senso del buon senso. Sul senso del ridicolo. Molti di noi hanno deciso di ragionare con la testa di chi impone un pensiero unico e non vogliono assolutamente andare fuori dal coro. Il brutto è che in questo numero ci sono moltissimi cattolici praticanti, allineati in prima fila. Dico che è brutto, perché un tempo erano proprio i cattolici a fare da muro al dilagare  di pensieri ingiusti e ingiustificabili. A dare al popolo un modo alternativo di ragionare, un paletto, un riferimento, basato sulla ragionevolezza della fede, contro lo sragionamento del mondo (che c’è sempre stato). Coi cattolici la gente ha sempre avuto un’alternativa a quello che diceva il mondo e poteva decidere se seguirli o bruciarli vivi. Chi può resti nel piccolo gregge di uomini fedeli a Gesù e alla Chiesa. Pier Giorgio Frassati aiutaci.
Il Pio


« Perché non potrei essere come san Francesco? »

Oggi vi racconto la storia (e sottolineo “storia”, cioè un fatto, un accadimento, non una favola e dunque se è avvenuto può avvenire ancora) di Sant’Ignazio di Loyola. Nacque ad Azpeitia un paese basco, nell’estate del 1491, i genitori appartenevano al casato dei Loyola, uno dei più potenti della provincia di Guipúzcoa, che possedevano una fortezza padronale con vasti campi, prati e ferriere. Ben presto dimostrò di preferire la vita del cavaliere. Era di temperamento focoso, corteggiava le dame, si divertiva come i cavalieri dell’epoca. Si trovò a combattere varie volte, fra cui nell’assedio del castello di Pamplona ad opera dei francesi; era il 20 maggio 1521, quando una palla di cannone degli assedianti lo ferì ad una gamba. Trasportato nella sua casa di Loyola, subì due dolorose operazioni alla gamba, che comunque rimase più corta dell’altra, costringendolo a zoppicare per tutta la vita. Ma il Signore stava operando nel plasmare l’anima di quell’irrequieto giovane; durante la lunga convalescenza, non trovando in casa libri cavallereschi e poemi a lui graditi, prese a leggere, prima svogliatamente e poi con attenzione, due libri ingialliti fornitagli dalla cognata. Si trattava della “Vita di Cristo” di Lodolfo Cartusiano e la “Leggenda Aurea” (vita di santi) di Jacopo da Varagine  (1230-1298), dalla meditazione di queste letture, si convinse che l’unico vero Signore al quale si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere era Gesù stesso. La lettura della Passione del Signore l’aveva commosso, mentre la lettura delle imprese dei santi lo avevano entusiasmato. Cominciò a chiedersi: "Perché non potrei fare anch’io quello che hanno fatto per il Signore uomini santi come Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman?". La Grazia lo aveva finalmente raggiunto, ma le vanità terrene lo attiravano dalla loro parte. Fu un duro combattimento, il suo. Alla fine si raccomandò alla Vergine e, liberato dall’oppressione della carne, si arrese completamente a Dio. Alla vigilia della festa dell’Annunciazione, trascorre tutta la notte in preghiera in una “veglia d’armi” al termine della quale depone la sua spada e il pugnale all’altare della Madonna. Regala gli abiti di cavaliere ad un povero e si veste da pellegrino, acquista un tessuto molto ruvido che si usava per fare i sacchi e con quello si fa cucire una veste lunga fino ai piedi, poi prende un bastone da pellegrino e una borraccia. Per iniziare questa sua conversione di vita, decise appena ristabilito, di andare pellegrino a Gerusalemme dove era certo, sarebbe stato illuminato sul suo futuro; partì nel febbraio 1522 da Loyola diretto a Barcellona, fermandosi all’abbazia benedettina di Monserrat dove fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi vestendo quelli di un povero e fece il primo passo verso una vita religiosa con il voto di castità perpetua. Un’epidemia di peste gl’impedì di raggiungere Barcellona che ne era colpita, per cui si fermò nella cittadina di Manresa e per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo poveramente presso il fiume Cardoner “ricevé una grande illuminazione”, sulla possibilità di fondare una Compagnia di consacrati e che lo trasformò completamente. Nel 1534 con i primi compagni, i giovani maestri Pietro Favre, Francesco Xavier, Lainez, Salmerón, Rodrigues, Bobadilla, fecero voto nella Cappella di Montmartre di vivere in povertà e castità, era il 15 agosto, inoltre promisero di recarsi a Gerusalemme e se ciò non fosse stato possibile, si sarebbero messi a disposizione del papa, che avrebbe deciso il loro genere di vita apostolica e il luogo dove esercitarla. A causa della guerra fra Venezia e i Turchi, il viaggio in Terrasanta sfumò, per cui si presentarono dal papa Paolo III (1534-1549), il quale disse: “Perché desiderate tanto andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa di Dio l’Italia è una buona Gerusalemme”; e tre anni dopo si cominciò ad inviare in tutta Europa e poi in Asia e altri Continenti, quelli che inizialmente furono chiamati “Preti Pellegrini” o “Preti Riformati” in seguito chiamati Gesuiti. Il 31 luglio 1556 Ignazio di Loyola morì. Fu proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV. La conversione di Ignazio è caratterizzata da cinque tappe: a) una battaglia persa che lo segna con una grave ferita esteriore ed interiore; b) due letture apparentemente innocue che lo “seducono” verso un modo nuovo di spendere la vita; c) la convinzione che chi segue Cristo lo deve fare in modo esclusivo; d) cercare il modo proprio per imitare Cristo nella concretezza della sua storia; e) accorgersi che la conversione non è un colpo di fulmine o la soluzione di un problema, ma è l’inizio di una nuova responsabilità e di un lungo pellegrinare.

Idiozia.

  C’è un Potere immondo che mette tutti noi sotto una cappa tenebrosa, triste e cattiva. Ci dice come dobbiamo parlare, cosa dobbiamo deside...