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La domanda a piacere…



Lo ammetto. Talvolta mi lamento del contenuto delle omelie. Perché alcune volte mi sembrano un'insalata di moralismo e politicamente corretto, che come tale chiunque potrebbe pronunciare: il sindacalista, il Preside, il capoufficio...  Altre volte si parla di altissima teologia con declamazione di verbi aramaici, greci, latini e frasi insondabili elevatissime che chi le ascolta resta bocca aperta come incantato. Oppure ci troviamo di fronte a un linguaggio simpatichese, salti mortali e frequenti battiti di mani; ma in tutti i casi, alla fine pochissimo resta dentro al cuore. Qualche volta escono anche degli sfondoni che alle persone fragili possono creare dubbi nella fede. Spesso poi mi lamento del fatto che rarissimamente si sente parlare del demonio, dell’inferno, del peccato, della tentazione… E -scusate- ma in un momento come quello che viviamo, è come mandare degli uomini in prima linea senza le armi, senza sapere chi sia il nemico e soprattutto senza avvertirli che c’è una battaglia in corso. Ma non è tutto così e sarei ingrato a chiudere qui il discorso. Sovente dico che se sono rimasto cristiano lo devo a un sacerdote di Ascoli Piceno, nella cui chiesa andavo la mattina presto a prendere la messa. Le sue omelie mi hanno spiegato, chiarito, fatto conoscere tante cose della nostra bella fede e della nostra Chiesa che, allora trentenne, ancora non conoscevo. Quelle omelie mi hanno resa solida la base della mia fede e mi hanno dato tanto che conservo ancora oggi. Spesso infatti le omelie sono utili e apprezzabili. E grazie a loro rimane nel cuore quella frase che ogni tanto ritorna alla mente e fa capire una certa faccenda, spiega una certa realtà, consola, incoraggia…

E così accadde anni fa, alla messa delle sette della mattina, questa volta a S. Benedetto del Tronto. Poco più di una ventina di persone con un’età media molta alta: e nonostante questo anche quel sacerdote si è sentito la responsabilità di dare a tutti parole buone e edificanti. Parlava del giudizio particolare che avremo tutti alla fine della vita (anche questo è un tema ascoltato rarissimamente durante le prediche). Il Signore ci chiederà cosa Gli abbiamo fatto e se siamo stati buoni e operosi (dar da bere, dar da mangiare,… a quello più piccolo) ci porterà in Paradiso, se non lo siamo stati, cioè se non Lo abbiamo mai aiutato in tutta la nostra vita, ci manderà all’Inferno. Il sacerdote allora ci disse che non dobbiamo arrivare in quel giorno impreparati, « lo sappiamo sin da ora che quell’ ”interrogazione”, prima o poi, la dovremo sostenere tutti ». Allora spiegò che se proprio non riusciamo a argomentare bene la materia, se non abbiamo studiato molto, possiamo almeno prepararci bene su un argomento per rispondere alla “domanda a piacere”, come a scuola. Infatti quando un ragazzo non sa bene la lezione e il professore lo vuole aiutare alla fine della rovinosa interrogazione, per non bocciarlo, gli chiede una “domanda a piacere”, cioè quella cosa che conosce un po’ meglio. Almeno un sei “stiracchiato” lo possiamo prendere così. Dio ci vuole bene e non vuole la nostra rovina, non ci vuole “bocciare”, per cui se siamo preparati almeno su un argomento, possiamo sperare di essere promossi. E scopo della nostra vita, nostro interesse primario, deve essere proprio quello di essere “promossi”, cioè salvarci l’anima e andare con Lui in Paradiso. 

Le argomentazioni riportate da quel sacerdote non sono da Università di Teologia, però nel sentirle rimane nel cuore qualcosa di buono. Quel banale esempio mi tiene desto e mi fa capire che la vita non può essere sprecata dietro noi stessi, e che delle nostre azioni e del nostro tempo dovremmo rispondere a Nostro Signore quando sarà ora. Io posso anche non essere un santo clamoroso, però so che almeno sulla “domanda a piacere” mi devo preparare, cioè qualcosa di buono nella vita la devo fare per i miei fratelli e perché voglio bene a Gesù. E visto che ci sto, posso anche provare a studiare meglio la lezione...
Il Pio

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