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Ricordati che devi morire.



Col Coranavirus tutti, nel giro di pochissimo tempo, abbiamo compreso che potrebbe essere possibile morire per il contagio di questa maledetta malattia. E che essa è tremenda e feroce. E abbiamo paura, giustamente. Una paura tremenda, spesso. Possiamo capire come si sentivano i nostri nonni, quando c’era il colera o la peste e non c’era l’Amuchina. Una difesa dall’epidemia, dicono, è stare a 1,82 centimetri gli uni dagli altri, lavarsi spesso le mani per almeno un minuto col disinfettante, non andare fuori Italia, non andare a messa, tossire sul fazzoletto… E si fa bene a fare così. Siamo in Quaresima: «polvere sei e polvere tornerai» ci è stato detto all’inizio, Mercoledì delle ceneri. Prendiamo tutte le precauzioni possibili e anche di più: non ci dobbiamo ammazzare da soli. Ma ricordiamoci sempre quel «polvere sei e polvere tornerai». Prima o poi moriremo, se non di Coranavirus come auguro a tutti i lettori, di vecchiaia, di tumore, sotto una macchina, sparati, con l’infarto, di ictus, col terremoto,… e, in quel momento finale, prima di andare davanti al Tribunale di Dio, dobbiamo essere sicuri di essere in grazia di Dio, senza peccati, con l’anima pulita. Non sappiamo quando arriverà quell’ora (tra un secondo o tra cento anni, chissà?) ma arriverà e dobbiamo trovarci così: ci conviene essere così. Perché è meglio andare in Paradiso piuttosto che all’Inferno. Qui ci si rimane per sempre, anche se non abbiamo preso mai il Coranavirus.

Il Pio

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