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Dentro e fuori


Oggi è un gran parlare di comunione ai divorziati e riconoscimento dei matrimoni fra gay. Non sto parlando dello Stato, evidentemente, in cui si fa ciò che dice la maggioranza dopo l’ampio dibattito parlamentare e così tutto può giustamente cambiare in via democratica. In qualche modo infatti una bella fetta di cattolici praticanti e graduati vuole aprire una breccia sul muro della dottrina e introdurvi una specie di liberatoria, un “anche” che prima non c’era. Gesù però sul punto è stato chiaro. «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio (Marco 10, 11-12) ». E se non erro questo è proprio il brano del Vangelo che si leggerà il giorno dell’apertura del Sinodo sulla famiglia (posso sbagliare, ma cambia poco). In cui Gesù stabilisce tra quali sessi c’è un matrimonio e che esso è indissolubile. Poi si può fare qualunque altra interpretazione della frase suddetta, ma il senso letterale è abbastanza chiaro. E la dottrina non si cambia democraticamente —è parola di Dio—, è quella e deve essere quella in saecula saeculorum, fino alla fine del mondo. La Chiesa non è e non deve essere democratica. Poi Gesù è morto democraticamente sulla base di un referendum popolare. E c’è un pericolo. Quando si aprono brecce sul muro per far entrare quelli fuori, non è detto che chi sta fuori poi entra davvero (anche se ha fatto tanto per farsi accogliere), ma chi sta dentro solitamente esce. Siamo sicuri che i divorziati e i gay, se si introduce a forza un nuovo comma nella dottrina cristiana, diventano ferventi e appassionati cattolici? Non è invece più sicuro che quelli che stavano dentro, tradizionalisti e seri, poi rischiano di uscire scandalizzati e delusi? Non è già successo così in passato?.
Il Pio

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