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Patria

 


Pronunciare oggi, la parola patria è una cosa brutta. Anzi, in certi ambiti è bene  proprio che non se ne parli. Essa è infatti, un disvalore che puzza di guerra, di vecchio e di fascismo. Eppure la patria non è niente di tutto questo, non è un passato remoto e brutto; è la terra dei nostri padri (pater, patris,  in latino) dove sono nati e vissuti i nostri nonni e i nonni dei nonni dei loro nonni. E’ la terra dove appoggiamo i piedi e dove l’hanno appoggiati prima di noi anche loro. È la chiesa e il campanile dove si sono sposati i nostri genitori e dove mi sono sposato poi anche io… è il paesaggio che hanno visto loro e che vedo io. E’ il buon mangiare e le belle cose artistiche che abbiamo. E’ la nostra storia e (perché no?) la nostra geografia. In altre Nazioni non è così. In Francia sono molto patriottici. Così in Israele, Irlanda, Gran Bretagna, India... Ho sentito un amico del Marocco parlare del suo re addirittura con affetto. In USA le bandiere a stelle e strisce si trovano nelle case e persino dentro le chiese. Sono andato a trovare un amico americano che abita in Italia e aveva appesa in salotto la bandiera del "suo" Texas" e parlava della sua nazione con orgoglio. Anche gli inni nazionali contribuiscono dare il sentore di questa differenza. In Israele cantano “non è ancora persa la nostra speranza, la speranza due volte millenaria, di essere un popolo libero nella nostra terra”. Nel Libano invece dicono “Tutti noi! Per il nostro Paese, per la nostra Gloria e la nostra Bandiera! Il nostro valore e i nostri scritti sono l’invidia dei secoli. La nostra montagna e la nostra valle, fanno nascere uomini forti. E alla Perfezione dedichiamo le nostre parole e il nostro lavoro”. Tutti cantano con orgoglio “noi”, termine invece incredibile a casa nostra. L'Italia è terra di conquista, unificata con la forza, comandata inspiegabilmente da gente quasi tutta incapace, spesso anche con una certa appartenenza. Da noi non si può parlare mai di radici cristiane. Eppure esse sono le sole che per duemila anni avevano di fatto costruito e rinforzato la nazione italiana anche se divisa in piccoli Stati, abbellito le città, umanizzato e unificato il popolo e che avevano segnato profondamente, in bene, la penisola. Noi non siamo un popolo, l’unica realtà che ci univa nei secoli, era la fede. Oggi dobbiamo invece pensare che ci fa un popolo "l’Elmo di Scipio", di cui ci si saremmo cinti la testa e solo per questo la vittoria ci dovrebbe porgere la chioma in quanto è schiava di Roma. Ma a pochi sembra che la vittoria sia davvero schiava di Roma, città questa centro del disordine, della brutta politica, del malaffare, capitale di un Paese stanco di soprusi, corruzioni, angherie, tradimenti, dove non funziona niente e tutto è spesso superficiale, temporaneo, illogico e cattivo e dove c’è tanta disillusione e sfiducia. Scipione era un eroe precristiano, vissuto in un tempo pagano, oggi sconosciuto ai più e lontanissimo dal cuore del popolo normale. A chi interessa di quella vittoria (su chi, poi)? Come potremmo essere uniti dal suo elmo? Quelli che hanno scritto l’inno forse vedevano bene il ritorno al paganesimo (rinato sulle ceneri del cristianesimo oscurantista) e così denominavano le vie col XX (numero romano) e non col 20 (numero italiano),… Solo che dietro a Scipione oggi non va più nessuno né tra i potenti, né tra il popolo. Ci sono invece molti che ancora vanno dietro a Gesù e alla Chiesa e darebbero anche la vita per loro. Sono pochi è vero, certamente malmessi, traditi e allontanati anche dai loro capi e correligionari. Ma ci sono, forti come non mai. E su questi potremo contare.

Il Pio

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«Ci condannano per il nostro attaccamento alla fede».

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