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Era un tipo tranquillo


C’è un’intervista che ha sempre la stessa risposta: è quella che avviene dopo l’arresto di un terribile criminale o di un terrorista. Cosa dicono sempre e in ogni caso i vicini intervistati? «Era un tipo tranquillo».


Una faccenda che vedo ripetersi spesso è l’intervista. Prima una premessa. Io non sopporto le interviste “alla gente comune” dei telegiornali, perché si intervistano sempre le persone che hanno dentro di sè il vuoto assoluto. La vecchia che piange, l’isterica che urla, quello che non ha nulla da dire, ma dice sempre qualcosa di "saggio" e (finalmente) quello “saggio” che dice solo banalità da Bar dello Sport. Raramente ho sentito intervistare una “persona comune” con un po’ di sale in zucca (e ce ne sono tante in giro, ma forse non sono apprezzate perché non dicono cose comuni e politicamente corrette, oppure perché stanno a lavoro o hanno da fare altro quando i giornalisti girano per le strade). Segno comunque di un modo pessimo di dare le notizie e di un modo ancor peggiore di riceverle. Non sopporto nemmeno le interviste “commozione”. Quelle di questo tipo. Al povero padre della figlia assassinata brutalmente si presenta la giornalista da assalto che gli sbatte il microfono in fronte insieme al cameramen e con le domande aspettano fino a che non esca la lacrima. Alla vecchia terremotata a cui si chiede «e adesso…?». Alla mamma del terribile serial killer a cui si chiede «ma suo figlio è davvero un assassino?» (Tutto questo fa audience e dunque interessa a chi gestisce queste cose, la verità non interessa, un giudizio serio non interessa). Tutti intuite però che tipo di risposte andrebbero date in circostanze simili. Ma c’è un’intervista che è sempre uguale e ha sempre la stessa risposta: è quella che avviene dopo l’arresto di un criminale o di un terrorista. Cosa dicono sempre e in ogni caso i vicini intervistati? «Era un tipo tranquillo». Sempre questa frase, come un mantra. «Era un tipo tranquillo». Che tutti i perfidi seviziatori e omicidi 
siano poi anche tutti sempre tranquilli non mi sembra tanto normale. Si deve allora pensare che o gliela impone il giornalista d’assalto quella risposta o non siamo più in grado di capire e conoscere chi vive vicino a noi da tanto tempo e ci autogiustifichiamo dando un giudizio che è sempre corretto e sempre giusto, ma irreale (e dunque non è un giudizio) perchè è una risposta data senza valutazione della realtà, una risposta automatica dunque, come quella delle e-mail in periodo di ferie. Segno che non viviamo in questo mondo, ma da un’altra parte, chiusi e impermeabili dentro il nostro appartamento. Segno che non ci guardiamo più negli occhi. Segno che non abbiamo quel briciolo di umanità che ci fa capire l’umanità del vicino. Segni tutti comunque brutti.

Il Pio 

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