Io sono uno di quelli che ha avuto la fortuna di avere alle
elementari la maestra unica. (E la parola “fortuna” non l’ho messa a caso). Per
me la Signora maestra era davvero una “seconda” mamma. Mia mamma era sempre mia
madre, era ovvio e non si discuteva minimamente; la maestra era però una mamma
in seconda, una vicemamma. Io la vedevo così e pure tutti gli altri scolaretti
col grembiule e fiocco: lei contava tanto per tutti noi, buoni o cattivi. Quello
che diceva lei era ascoltato con attenzione e diveniva parametro per i nostri
giudizi verso il mondo che iniziavamo appena a conoscere. E non accadeva mai
che mia madre diceva a casa una cosa e la maestra la smentiva in classe, ma il
fatto è che non avveniva nemmeno il contrario. Mamma e maestra vedevano la vita
nella stessa maniera: quella maniera che era poi comune ai nonni dei miei nonni
e ai vicini di casa. E se prendevo un brutto voto, per mia madre la colpa era
la mia, non pensava minimamente a andare a litigare con la Signora maestra. Se
avevo preso 4 significa che meritavo 4. Punto e basta. Le due “mamme” la
pensavano uguale in materia di formazione e educazione. E per tutti noi la
Signora maestra con tutti limiti e difetti (che avevamo capito già dal primo
giorno di scuola), era sempre e comunque la Signora maestra. E la Signora
maestra vedeva e trattava tutti noi come suoi “secondi” figli, anche se aveva
spesso un “cocco” in prima fila e un “asino” all’ultimo banco,ma tutti
percepivamo che la Signora maestra ci vedeva come figli suoi: anche l’asino
dell’ultimo banco ne era sicuro. E quando mi sono fatto adulto, con moglie e
figli, trent’anni dopo l’ultimo giorno di scuola, la Signora maestra si
ricordava di me, chiamandomi per nome e cognome: “tu eri quello col ciuffo che
eri venuto da Milano e che…”. Trent’anni
dopo. Solo se uno ha a cuore una persona e le vuole bene, se la ricorda con
piacere, anche dopo trent’anni. E quella persona si sente voluta bene, anche
dopo trent’anni. E tutto questo è buono e edificante.
*
Dopo le elementari siamo andati alle scuole medie. Il
passaggio è stato immenso. Guardando i nuovi maestri, che ora dovevamo chiamare professori,
vedevamo occhi indifferenti verso di noi, non seconde mamme o secondi papà. Non
eravamo più, per loro, secondi figli, ma semplici alunni, quasi pratiche da
evadere. E il discorso è cambiato. E’ cambiato non solo perché siamo cresciuti,
ma anche perché i professori si rapportavano con noi come impiegati, con disinteresse cioè, con il fine in cuor loro di concludere il programma ministeriale. E
non si può dire che questo nuovo tipo di rapporto abbia giovato alla nostra
crescita.
*
Un maestro e un professore devono volere bene ai propri
alunni. Se li devono portare sempre nel cuore, il cocco come l’asino. E’ vero
che sono pagati solo per insegnare, ma è anche vero che davanti a loro non
hanno mattoni inerti, ma giovani cuori che stanno crescendo e che hanno bisogno
di figure importanti nella loro vita, da stimare e da guardare. Persone che
anche insegnando fisica o filosofia, hanno nel cuore un desiderio di bene per
tutti quei ragazzacci che hanno davanti, spocchiosi, puzzolenti, irritanti o
disinteressati e indifferenti a tutto quello che gli si dice. Che hanno a cuore il loro destino come quello
proprio. E così succede che con la Signora Maestra i bambini
crescono su un terreno solido, senza affondare nelle sabbie mobili. Con gli
impiegati essi crescono affondando nelle sabbie mobili.
*
Ma questo discorso vale per tutti. Tutti noi siamo “educatori”,
nel bene o nel male.Sia come genitori, come coniugi, come insegnanti, oppure come
amici o come presenza nei luoghi di lavoro… Ognuno di noi testimonia qualcosa a
qualcuno, nel bene o nel male. E il Signore non voglia
che siamo testimoni nel male! Nel nostro cuore ci deve essere sempre quel
desiderio di bene nei confronti di chi incontriamo. Come dire, “Signore che ne
sarà di loro? Fa che possano avere un destino buono come quello che desidero
io, fa che possano stare bene, fa che io possa fare qualcosa di buono per
loro”... Perché così tutto diviene buono e edificante.
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