«Dunque il primo grado dell'umiltà è quello in cui, rimanendo sempre nel santo timor di Dio, si fugge
decisamente la leggerezza e la dissipazione, si tengono costantemente presenti i divini comandamenti e si pensa di
continuo all'inferno, in cui gli empi sono puniti per i loro peccati, e
alla vita eterna preparata invece per i giusti.
Il
secondo grado dell'umiltà è quello in cui, non
amando la propria volontà, non si trova alcun piacere nella soddisfazione
dei propri desideri, ma si imita il Signore, mettendo in pratica quella sua
parola, che dice: "Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di
colui che mi ha mandato".
Terzo
grado dell'umiltà è quello in cui il monaco per amore di Dio si sottomette
al superiore in assoluta obbedienza.
Il
quarto grado dell'umiltà è quello del monaco che, pur incontrando difficoltà,
contrarietà e persino offese non provocate nell'esercizio dell'obbedienza, accetta in silenzio e volontariamente la
sofferenza e sopporta tutto con pazienza, senza stancarsi né cedere secondo
il monito della Scrittura: "Chi avrà sopportato sino alla fine questi sarà
salvato".
Il
quinto grado dell'umiltà consiste nel manifestare con un'umile confessione al proprio abate tutti i cattivi pensieri che
sorgono nell'animo o le colpe commesse in segreto, secondo l'esortazione
della Scrittura, che dice: "Manifesta al Signore la tua via e spera in
lui".
Il
sesto grado dell'umiltà è quello in cui il monaco si contenta delle cose più misere e grossolane e si considera un
operaio incapace e indegno nei riguardi di tutto quello che gli impone
l'obbedienza,
Il
settimo grado dell'umiltà consiste non solo nel qualificarsi come il più miserabile di tutti, ma
nell'esserne convinto dal profondo del cuore
L'ottavo
grado dell'umiltà è quello in cui il monaco non fa nulla al di fuori di ciò a cui lo sprona la regola comune
del monastero e l'esempio dei superiori e degli anziani.
Il
nono grado dell'umiltà è proprio del monaco che sa dominare la lingua e, osservando fedelmente il silenzio, tace
finché non è interrogato.
Il
decimo grado dell'umiltà è quello in cui il monaco non è sempre pronto a ridere, perché sta scritto: "Lo stolto
nel ridere alza la voce".
L'undicesimo
grado dell'umiltà è quello nel quale il monaco, quando parla, si esprime pacatamente e seriamente,
con umiltà e gravità, e pronuncia poche parole assennate, senza alzare la voce,
come sta scritto: "Il saggio si riconosce per la sobrietà nel
parlare".
Il
dodicesimo grado, infine, è quello del monaco, la cui umiltà non è puramente
interiore, ma traspare di fronte a chiunque lo osservi da tutto il suo
atteggiamento esteriore, in quanto durante l'Ufficio divino, in coro, nel
monastero, nell'orto, per via, nei campi, dovunque, sia che sieda, cammini o
stia in piedi, tiene costantemente il
capo chino e gli occhi bassi; e, considerandosi sempre reo per i propri
peccati, si vede già dinanzi al tremendo giudizio di Dio, ripetendo
continuamente in cuor suo ciò che disse, con gli occhi fissi a terra il
pubblicano del Vangelo: "Signore, io, povero peccatore, non sono degno di
alzare gli occhi al cielo"».
(Dalla Regola di San Benedetto da
Norcia, capitolo 7^)
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