«Dal 28 luglio all’11 agosto 1480 i turchi comandati da Gedik Achmet Pascià assediarono la città di Otranto, in Puglia. Il 12 agosto, l’esercito turco entrò con forza nella città. Massacrarono tutti coloro che trovarono per le strade e anche nelle case, facendo poi irruzione nella cattedrale. L’Arcivescovo, Stefano Pendinelli, stava celebrando il Sacrificio Eucaristico: sacerdoti, frati e molti del popolo furono massacrati mentre pregavano. L’anziano presule, con gli abiti pontificali e la croce in mano, fu ucciso con un colpo di scimitarra che gli staccò di netto il capo. La testa del presule venne portata per le strade come trofeo. Ahmet Pascià ebbe poi a fare della casa di Dio la stalla per i suoi cavalli, secondo il volere del suo sultano il quale sognava di fare la stessa cosa anche con San Pietro a Roma. Le donne furono ridotte in schiavitù, alcune anche violentate, mentre i circa ottocento uomini superstiti, dai quindici anni in su, furono imprigionati. Tre giorni dopo, incatenati e seminudi, a gruppi di cinquanta, partendo dai pressi dell’odierna cappella della Madonna del Passo, furono condotti sul Colle della Minerva. Il capo musulmano offrì loro salva la vita se avessero consentito di passare all’islam. Dopo essersi guardati in faccia l’un l’altro, rispose per tutti loro il sarto Antonio Pezzulla, detto Primaldo, e disse che non avevano alcuna intenzione di rinnegare Cristo. Venti di loro riscattarono la libertà pagando trecento ducati a testa. L’anziano cimatore di panni esortò i compagni a difendere il proprio credo e fu il primo ad essere decapitato; le cronache raccontano che il corpo senza testa di Antonio si drizzò in piedi e così restò fino al termine della strage, cioè fino all’esecuzione dell’ultimo amico e concittadino, ad onta degli sforzi dei Turchi per piegarlo, venne quindi detto “Primaldo”. Profondamente scosso, il carnefice Berlebey si convertì al cristianesimo e fu impalato poco distante (stralci da www.santiebeati.it)». La storia dei martiri di Otranto l’avevo scritta in un precedente post. La ripropongo per mettere in evidenza proprio il turco Berlebey, di cui si parla pochissimo: il caso è liquidato in due righe. Ma deve far pensare. I martiri di Otranto sono morti tutti per la difesa della fede, massacrati in odio alla fede: più di ottocento erano e nessuno è scappato, nessuno si è piegato per paura, nessuno ha abiurato per convenienza. Paura ce ne sarà stata tanta di sicuro in tutti loro, non è facile morire in quel modo, ma più forte di essa è stata la fede e l’esempio di tanti precedenti martiri cristiani e la buona probabilità di finire quel giorno stesso, come il Buon Ladrone, in Paradiso con Gesù e la Madonna. Morirono uno a uno, osservando il corpo del loro amico Primaldo, in piedi senza testa fermo fino all’ultimo di loro. Una storia di coraggio e di fede che non può che farci commuovere e incoraggiare a persistere sulla strada di Gesù. Ma Berlebey era turco, un musulmano accanito, per di più un carnefice probabilmente per meriti acquisiti, cioè un tipo che aveva un fitto "pelo sulla stomaco” e a sgozzare 1.000 persone non gli faceva nulla, a tagliare la testa a 800 persone non gli faceva scendere la pressione nemmeno di un millimetro. Uno peggio di tutti gli altri. Uno che aveva la coscienza sempre afona. Quelli di Otranto erano per lui solamente dei cani infedeli, nemici giurati, da uccidere tutti. Lui aveva vinto la battaglia e dunque aveva ragione: aveva un dio più forte di quello degli straccioni di pugliesi. Questa era la regola che gli avevano insegnato sin da piccolo e che era sempre stata vera. Probabilmente però, questa regola non fu per lui tanto solida e soddisfacente di fronte alla realtà: infatti fu “profondamente scosso” da ciò che stava succedendo e si convertì al cristianesimo, ben sapendo cosa gli avrebbero fatto i suoi “amici”, Pascià in testa. Fu impalato: un supplizio terribile (che però si fa pure oggi) un palo aguzzo fisso per terra, si mette il condannato seduto sulla punta fino a che la punta non entra e sale piano piano fino agli organi vitali e poi uscire dalla bocca, dal collo, dalla schiena. Lo sapeva bene che lo aspettava questo, ma non tornò indietro. Era troppo grande e vero quello che stava vedendo. E rimase cristiano anche se per pochi minuti. Anche lui martire, dunque. Riscattato per pochi minuti come il Buon Ladrone.E resta fermo anche per noi gente del XXI secolo, il mandato di provare a “scuotere profondamente” tutte le persone che incontriamo, sperando che non ci debba toccare proprio la sorte del povero Berlebey. Ma il destino è nelle mani di Dio, non nelle nostre.
Il Pio
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