Dopo aver detto che il tempo è cambiato e che le stagioni non sono
più quelle di una volta, che i giovani di oggi capiscono di più perché sanno
usare i cellulari e i computer, tutti si lamentano di tutto. Dalla salute che manca,
alle tasse che ci ammazzano dai politici che mangiano
tutto, al fatto che solo in Italia
succedono certe cose e che lo sport non è più come una volta... Una lamentela
continua correda i discorsi di tutti i giorni. Le conversazioni che si fanno a
casa, al bar o tra amici in auto, spesso finiscono brontolando quegli
argomenti. Che si concludono poi sempre con un amaro nel cuore, disperato, perché non
si vede rimedio. E il fatto è che sono lamentele fondate! Si ha ragione a
lamentarsi. Non c’è una cosa che funzioni
bene e il rimedio è difficile da trovare, allo stato dei fatti. Meglio,
parafrasando Guareschi, non sono le cose, ma sono gli uomini che non
funzionano. E se essi non funzionano, nulla può andare bene.
In Italia sembra di sprofondare sempre più velocemente e si sta
aspettando solo la botta finale, ammesso poi che essa sia davvero quella
finale. Il concetto è infatti che il fondo è sempre più in fondo e non si
arriva mai a esso, ce n’è sempre un altro più in fondo (scusatemi il giro di
parole).
“Allegro, Scipione, il mondo è bello proprio perché finisce” diceva in un vecchio film, a Scipione l’Africano, Giove che si lamentava perchè lui, questa “buffonata” di vita, se la doveva godere in “sempiterno”. “Anche gli dei si lamentano” era l’amaro commento di Scipione, che triste se ne tornava a casa, dopo che aveva cercato un po’ di speranza nel consiglio del re degli dei. E se anche gli dei si lamentano… Il discorso finisce qui, allora. Non c’è speranza, allora.
“Allegro, Scipione, il mondo è bello proprio perché finisce” diceva in un vecchio film, a Scipione l’Africano, Giove che si lamentava perchè lui, questa “buffonata” di vita, se la doveva godere in “sempiterno”. “Anche gli dei si lamentano” era l’amaro commento di Scipione, che triste se ne tornava a casa, dopo che aveva cercato un po’ di speranza nel consiglio del re degli dei. E se anche gli dei si lamentano… Il discorso finisce qui, allora. Non c’è speranza, allora.
Ma il discorso non finisce qui. Abbiamo in effetti perso la speranza, è
vero, ma quella che fondiamo sulle cose e sulle persone. E se la nostra
speranza è fondata solo su quelle, allora è proprio finita. Ma Dio esiste e a
Lui dobbiamo guardare e in Lui sperare, Lui che con la resurrezione ha vinto
anche la morte, il peggiore dei nostri nemici. E se siamo Suoi figli, la
vinceremo anche noi e saremo in Paradiso per tutta l’eternità. Tutta la nostra
speranza in questa vita va posta su Gesù! Ci può capitare di tutto, ma non ci
deve capitare di perdere questa Speranza.
Il catechismo ci insegna: “la Speranza è la virtù teologale per la quale
desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo
la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre
forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo… La virtù della speranza
risponde all'aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni
uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica
per ordinarle al regno dei cieli; salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in
tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell'attesa della beatitudine
eterna. Lo slancio della speranza preserva dall'egoismo e conduce alla gioia
della carità”.
E succede anche che gli uomini che hanno nel cuore proprio questa
Speranza, poi costruiscano opere, si impegnino nel lavoro, nella politica,
nella famiglia, nella propria città… si santifichino proprio in queste
attività, portando tanto bene e cambiando in meglio prima se stessi, poi la
famiglia, poi la città e infine il mondo.
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